La rinuncia di Draghi allo stipendio. Un guadagno anche per la democrazia?

di Serena Pellegrino|

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Qualche giorno fa è uscita la notizia che Draghi – il presidente del Consiglio, non il Premier che in Italia non esiste, è bene ribadirlo per rispetto della Costituzione – ha rinunciato all’indennità di carica perché già “ricco di suo”. Affermazione confermata dai dati di Palazzo Chigi, secondo cui il suo reddito lordo supera i 500 mila euro. Per chi si è battuto per tutta una vita contro il potere gestito dai ricchi, ovvero l’oligarchia, questa notizia non può non sollecitare una serie di considerazioni. Dopo un ventennio in cui si sono tirate (e si continuano a tirare) pietre contro chiunque è attivo in politica, soprattutto se ricopre un ruolo istituzionale percependo una giusta retribuzione, l’avvento di un Presidente che rinuncia al suo compenso è sicuramente visto come un grande benefattore. Non utilizza il denaro dei cittadini. Se vuole fare politica la facesse pure con il denaro suo. Questo è il messaggio che per troppi anni è passato attraverso una comunicazione denigratoria del ruolo istituzionale e delle cariche dello Stato.

Ebbene nascono così le leggi per la cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti, per la riduzione del numero dei parlamentari e la sforbiciata a pensioni e vitalizi, per l’eliminazione dell’assegno di 900 euro finalizzato agli spostamenti e viaggi per motivi politici, quasi che con questi tagli si potesse migliorare la crisi sociale ed economica acuitasi nell’ultimo ventennio. Non soddisfatti si è allargata la maglia anche nei confronti di tutti coloro che di finanziamento pubblico hanno vissuto facendo un servizio alla collettività, come le associazioni di volontariato e di tutti quegli organismi che tanto hanno dato al servizio sociale come le cooperative, le organizzazioni non profit e tutto il cosiddetto terzo settore, ma anche i sindacati non sono stati risparmiati. Tutti etichettati come “ladri e furbacchioni che si sono arricchiti con il denaro dei cittadini”.

Ebbene forse qualcuno avrà anche approfittato, ma la demagogia che si è iniziata subito dopo l’inchiesta giudiziaria di “Mani pulite” e proseguita con i vari “girotondi” e “Vaffaday” ha di fatto aperto le porte e sdoganato un pensiero che ci sta portando dritti dritti nelle mani della privatizzazione dello Stato sociale e del potere pubblico gestito da una manciata di “oligarchi”. Ho spesso imputato a Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, i due giornalisti del libro “La casta. Così i politici sono diventati intoccabili”, di essere stati grandi promotori dell’avvio della liquidazione del Welfare. Ma, forse, si sono inseriti perfettamente in un ingranaggio che rispecchiava un’idea di più ampia portata. Un progetto che doveva investire tutto l’Occidente, che lo doveva trasformare, se non ricondizionare, con il consenso dei cittadini, con una richiesta dal basso, in modo da salvaguardare i canoni democratici e non esporsi all’accusa di spinte autoritarie. In altri termini, la sostanziale peculiarità doveva essere quella di sollecitare i cambiamenti di ridimensionamento della politica sotto l’incalzare dell’opinione pubblica. Definito il progetto, si trattava di decidere con quali modalità attuarlo. La propaganda – nel rispetto delle migliori tecniche di manipolazione – ha recitato la sua parte in maniera eccezionale, promuovendo slogan che sono entrati nel vocabolario della quotidianità di ogni cittadino. In primo luogo, la richiesta di governabilità, garantita dai premi di maggioranza e scapito della pluralità di voci in Parlamento. Da quel momento, il progetto è andato in discesa e si è saldato a una serie di specchietti per le allodole. Come si definisce chi governa senza chiedere denaro ai cittadini? Quasi un benefattore. E se poi riesce a farsi dare del denaro da spendere per avviare cantieri e far riprendere l’economia? Quasi santo.

Premesso, per quanto non ve ne sia bisogno, che non ho nulla di personale contro Draghi, che ha deciso liberamente di non percepire lo stipendio, ma non riesco ad ammirarlo e, insieme alla mancata ammirazione, avanzo una serie di riserve. In primis che, a dieci anni esatti dal governo Monti, suo predecessore quasi fotocopia, la sua azione rischia di ledere un diritto fondamentale in democrazia e per il suo sviluppo e mantenimento, e tale da mettere sullo stesso piano tutti i cittadini, ricchi e meno ricchi: chi partecipa alla cosa pubblica deve percepire il giusto compenso.




Posted on: 2021/05/16, by :