50 anni di regionalismo: Paolo Battino Vittorelli
di Marco Travaglini|
|Nel 1970, le Regioni divennero una realtà. L’Italia dava così concretezza all’art. 114 della Costituzione che recita: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con proprio statuti, poteri e funzioni secondo i principati fissati dalla Costituzione”. La Porta di Vetro continua la sua galleria di immagini, curata da Marco Travaglini, ex consigliere regionale, con Paolo Battino Vittorelli, primo presidente del Consiglio regionale del Piemonte. Quarta puntata
Al calare della sera di lunedì 13 luglio 1970, nell’aula ottocentesca del Palazzo delle Segreterie di piazza Castello a Torino la seduta inaugurale della I Legislatura del primo Consiglio regionale della storia del Piemonte aveva appena eletto i cinque membri dell’Ufficio di Presidenza. A guidare il parlamentino subalpino venne scelto il socialista Paolo Vittorelli, coadiuvato dai vicepresidenti Gianni Oberto Tarena (DC) e Dino Sanlorenzo (PCI e dai consiglieri segretari Stanislao Menozzi (DC) e Cesare Rotta (PLI).
Il neo presidente del primo Consiglio regionale del Piemonte tenne il suo discorso di insediamento sottolineando i caratteri peculiari del nuovo ente. “Noi non siamo un ente autonomo come gli altri. Non pretendiamo di essere un Parlamento. Ma, nello stesso tempo, noi dobbiamo essere consapevoli che il Consiglio regionale è qualcosa di diverso dal Consiglio delle altre Amministrazioni autonome”, sostenne Vittorelli. “Siamo un ente autonomo dotato di una propria sfera, sia pur limitata, di sovranità, fissata negli articoli 117 e 121 della Costituzione della Repubblica. Sfera di sovranità che consente alla Regione, su materie esplicitamente enunciate, di emanare norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti nelle leggi dello Stato. Si tratta di una innovazione importante nel nostro ordinamento amministrativo, in quanto la Regione assume, in questo modo, una responsabilità che, fino ad oggi, in tutta la storia delle nostre autonomie locali, nessun ente locale era riuscito a conseguire”.
Vittorelli, concludendo il suo intervento sottolineò come il Piemonte non fosse “una Regione come le altre”. Non solo per le ragioni economiche e sociali di una realtà industrialmente sviluppata “ma anche perché ha avuto una funzione importante nella storia del nostro Paese”, un territorio dal quale partì “una tradizione di correttezza amministrativa che, con la complessità dei problemi sorti dopo l’Unità d’Italia, andò a poco a poco disperdendosi. In questa Regione noi possiamo ricostituire le condizioni di questa correttezza amministrativa, anche perché i problemi che ci stanno davanti sono problemi di una gravità estrema”.
Paolo Vittorelli aveva compiuto da pochi giorni 55 anni, essendo nato ad Alessandria d’Egitto il 9 luglio 1915 da una famiglia italo-greca originaria di Corfù, la più a nord delle isole Ionie. Il suo vero nome era Paolo Raffaello Battino e lo pseudonimo che scelse nella lotta antifascista apparteneva ad un poeta, veneto di nascita e bresciano di adozione e studi, vissuto tra la metà del ‘700 e i primi decenni dell’800.Quell’identità scelta durante la clandestinità della lotta politica divenne definitiva dopo la Liberazione grazie a un apposito decreto del governo presieduto da Ferruccio Parri. Trasferitosi in Francia nel 1936 per completare gli studi di giurisprudenza conobbe i fratelli Rosselli, entrando a far parte del movimento di Giustizia e Libertà. L’impegno antifascista e la lotta per la libertà significò per Vittorelli non solo opporsi al regime ma battersi per un paese nuovo, democratico e civile, basato sui valori di giustizia e tolleranza. L’adesione a Giustizia e libertà e all’idea di socialismo liberale propugnata da Carlo Rosselli si basava sul bisogno di rinnovamento morale e di cambiamento politico. Scrisse Vittorelli: “Rosselli ci ha insegnato che per costruire, bisogna prima spazzare le rovine. Rimarremo fedeli alla sua consegna: spazzeremo via le rovine di un mondo che egli ci ha dimostrato non essere nostro e costruiremo il nostro mondo, il mondo nuovo”.
L’intera e lunga vita di Paolo Vittorelli (che morì a Torino il 24 marzo del 2003 a più di ottantasette anni) si svolse interamente sotto il segno di questo impegno politico. Dopo un breve ritorno in Italia raggiunse nuovamente la Francia che dovette abbandonare quando il paese d’oltralpe venne invaso dai nazisti. Riparò in Egitto dove diresse il “Corriere degli Italiani”, giornale di Giustizia e Libertà che veniva stampato nella capitale egiziana, organizzando la Resistenza. Rientrato in Italia aderì al Partito d’Azione, un’esperienza alla quale fu molto legato dopo quella in Giustizia e Libertà. Redattore capo de “L’Italia libera”, organo di quel partito, ne diresse l’edizione piemontese clandestina. Al momento dello scioglimento del Partito d’Azione, nell’ottobre del 1947, partecipò a diverse esperienze politiche che si richiamavano al socialismo (il movimento Azione Socialista Giustizia e Libertà, l’Unione dei Socialisti, il Partito Socialista Unitario che diventerà PSDI nel 1952) e nel 1953 con Unità Popolare si oppose alla cosiddetta “legge Truffa”. Nel 1957 Vittorelli confluì nel PSI.
Quella della militanza socialista fu la terza fase della vita politica di Vittorelli che subito si impone come un dirigente di primo piano, particolarmente versato nell’analisi delle problematiche di politica estera. Rappresentò il PSI al Senato e alla Camera, sarà come abbiamo ricordato il presidente del primo Consiglio Regionale del Piemonte. Membro della Direzione del PSI per lunghi anni non abbandonerà mai la pratica giornalistica, dirigendo i quotidiani socialisti “Il Lavoro” di Genova (dal ’69 al ‘76) e l’Avanti! (dal 1976 al ’78). Sul finire degli anni Novanta aderì ai Democratici di Sinistra, insieme ai laburisti di Valdo Spini. Per Vittorelli l’intreccio tra l’agire pratico e l’adesione ideale erano un tutt’uno e anche dopo aver lasciato incarichi nelle istituzioni si impegnò con passione sulle vicende internazionali fondando e presiedendo l’Istrid (istituto di studi e ricerche della difesa), contribuendo alla sprovincializzazione della cultura politica italiana.
50 ANNI DI REGIONALISMO, QUARTA PUNTATA
Posted on: 2020/12/17, by : admin