Torino, le prospettive dei giovani nel terzo Decennio

di Pietro Terna|

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Nel 2019 il Pil reale del Piemonte, cioè quello depurato dall’andamento dei prezzi, non aveva ancora recuperato il livello del 2007. Non si può dire che quando il Pil cresce la vita sia più agevole e felice per tutti, ma che l’opposto non sia un buon segnale è facile comprenderlo, con buona pace dei profeti della decrescita felice, ora ben poco felice. Il rapporto recente sul Piemonte, curato dalla Banca d’Italia1, mostra gli effetti dell’epidemia sulla nostra economia, con punti di tenuta nel comparto dei mezzi di trasporto, il cui indotto lavora per l’Europa, della gomma e della plastica, mentre la caduta degli investimenti ha colpito le macchine utensili e, quella dei consumi, il tessile. Negli stessi mesi, l’accordo Fca-Psa con la nascita di Stellantis, di cui abbiamo scritto in agosto2, ha ridimensionato le aspettative future per l’indotto dei mezzi di trasporto.

Come uscirne? Certo non con i “lavoretti” e la ristorazione per il break di mezzogiorno. Intendiamoci, anche quelli lavori, ma come ripieghi o complementi per chi ha in mente altre prospettive, come uno studente che lavori da cameriere in pizzeria dal venerdì sera a domenica e poi riprenda il suo impegno di studio. Certo non tutto il Piemonte è come Torino, alcuni comuni della prima e della seconda cintura hanno un passo diverso, altre province presentano realtà produttive assai significative, ma i segni di cedimento sono diffusi. Ad essere giovani a Torino, e anche in Piemonte, all’inizio del terzo decennio del secolo, non si hanno vere ragioni di sicurezza per il futuro. A meno che… Certo, a meno che si sappia tutti reagire.

I passi da compiere sono molti. Iniziamo dal lavoro di Mauro Zangola3che, per l’area torinese ha preparato un’analisi dettagliata e proposte operative che consentono di collegare gli interventi per i giovani con quelli per la Pubblica Amministrazione4. Le proposte, qui riportate con mie annotazioni, raccomandano l’adozione di un piano straordinario di assunzioni nella Pubblica amministrazione, con più effetti. Quello di un impiego di giovani coerente con la loro formazione. Quello dell’irrobustimento e dello svecchiamento della Pubblica Amministrazione, la cui debolezza, soprattutto nell’impiego delle nuove tecnologie è emersa con grande chiarezza con la crisi sanitaria. Quello della nascita di una vera innovazione amministrativa, con la semplificazione del rapporto tra cittadini e amministrazione pubblica, con una particolare attenzione rivolta all’apertura di nuove attività, da semplificare per tutti e super semplificare per i più giovani. Infine, quello di una politica attiva del lavoro, con strumenti tradizionali da rivitalizzare grazie alle nuove norme, in parte inattuate come per l’apprendistato, ma anche mobilitando il personale dei servizi per il lavoro per incontrare le singole imprese, da quelle piccolissime alle maggiori, per accertare le esigenze di personale e gli aspetti formativi connessi. Potrebbe essere una funzione concreta e importante per i cosiddetti navigators, mandati allo sbaraglio e ora a fine mandato.

Per dare concretezza a un rilancio del tessuto economico occorre attrarre e suscitare nuove iniziative. Si veda quel che ha fatto a Settimo Torinese, decima città del Piemonte per popolazione5, la brava sindaca Elena Piastra, con successi concreti nell’attrazione di nuovi insediamenti e anche con misure6mirate al sostegno della popolazione e alla ripresa a fronte all’epidemia. Per un’area come quella di Torino, e per il Piemonte più in generale, occorre una somma di nuove dotazioni infrastrutturali (certamente nei trasporti, con la Torino-Lione, la seconda linea metropolitana torinese, i collegamenti ferroviari all’interno del tessuto regionale). È necessaria un’offerta di competenze di ricerca e di realtà di ricerca, anche applicata, che si affianchi agli importanti atenei della regione. Serve la capacità di accoglienza da parte della Pubblica. È indispensabile una gestione ambientale rispettosa della natura, in un contesto piacevole.

Ma tutto ciò non è sufficiente. Ora occorre una vera e propria rottura generazionale che non è né quella della rottamazione di qualche anno fa, né il delirio della disintermediazione, emerso più recentemente. Servono persone giovani e preparate, come sono moltissimi giovani, in posizioni chiave, con capacità di decidere e anche licenza di sbagliare. Il Censis, con il rapporto presentato il 4 dicembre7, ci offre una visione non catastrofista, ma netta e molto definita, con l’immagine dell’Italia come ruota quadrata, difficilissima da far girare e che poi procede per sussulti e scossoni. Qualcuno sostiene che nulla sarà più come prima, il rischio invece è che, passata la nottata, tutto ritorni come prima e sarebbe un disastro.

Ecco perché i giovani da portare in primo piano, con licenza di agire e anche di sbagliare. In un passato molto recente, quando l’Italia aveva saputo ripartire dopo una guerra dagli effetti catastrofici e con una società uscita da un conflitto interno violentissimo, è stato così. In proposito, permettetemi una testimonianza personale: quando mi fu affidata la responsabilità dell’Ufficio studi economici e urbanistici dell’Unione Industriale di Torino, avevo 30 anni (era il 1974); a 34 mi fu data quella di dirigere l’Associazione regionale degli industriali, l’allora Federpiemonte. Tra tutti i colleghi, solo due erano un po’ più anziani di me. Non ero più bravo dei giovani di oggi, il mio biglietto da visita erano gli studi fatti, nient’altro. Riapriamo quelle porte alle giovani e ai giovani di oggi.



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