A volte ritornano… : la guerra del Polisario

di Germana Tappero Merlo |

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In gergo si chiamano conflitti congelati. Sono quei conflitti che hanno avuto origine molto, molto tempo fa, ci si ricorda che sono stati cruenti, complessi, lunghi, addirittura infiniti e poi scomparsi, almeno dai media. La storia del secolo scorso ne ha visti nascere e mai concludersi parecchi. Fra questi, di recente, sono ritornati agli onori della cronaca almeno tre: Armenia e Azerbaijan per il Ngorno-Karabakh, Etiopia ed Eritrea a causa delle intemperanze del Tigré e, nelle ultime settimane, quello fra il Marocco e le milizie del Polisario, quel Fronte Popolare per la Liberazione del Sahara Occidentale di Saguia el-Hamra e Rio de Oro, ossia di quel dominio un tempo spagnolo e ora territorio marocchino che Polisario vorrebbe invece indipendente sotto il nome di Repubblica Araba del Sahara Occidentale.

La tregua fra questi soggetti, che durava da 29 anni, sarebbe stata violata dalle forze regolari di Rabat in risposta al blocco armato da parte di miliziani del Polisario della via commerciale principale, passante per la zona cuscinetto di Guergarat, che dal Marocco porta verso la Mauritania e il sud del Sahel. La risposta marocchina sarebbe stata così dura da farla definire dal Polisario un “atto di guerra”. Un’affermazione che non porta a nulla di buono, là dove il Polisario è ospitato, armato e supportato dall’Algeria da sempre contraria al Progetto di Unione del Maghreb sostenuto dal re del Marocco, e la cui realizzazione gravita nella soluzione del contendere per il Sahara Occidentale.

DIETRO IL CONFLITTO L’OMBRA LUNGA DELL’ALGERIA

Ogni qual volta ci si avvicina ad attuare l’Unione con una fattibile soluzione per il Sahara occidentale, interviene il Fronte Polisario, con incursioni armate dai suoi santuari in Algeria e Mauritania, con relativa reazione da parte del Marocco. E così 100 milioni di magrebini, che potrebbero beneficiare economicamente dall’Unione del Maghreb, diventano ostaggio dell’ostinata opposizione di 200mila Sahrawi, ossia quegli arabi-berberi unici ad avere il diritto di reclamare quella regione, la cui causa diventa violenta in mano al Polisario. L’Algeria si serve delle prestazioni militari di quest’ultimo per garantirsi l’accesso diretto all’Atlantico e alle risorse del Sahara occidentale. La sua presenza è, in particolare, attorno a Tindouf, città algerina che ospita, tra l’altro, campi profughi dei Sahrawi, vittime sacrificali di quelle contese che ora non hanno più un carattere solo locale, ma quella di vera e propria proiezione di potenza straniera, come lo erano un tempo, durante la Guerra Fredda, quando il Sahara occidentale era oggetto del teatro di guerra per procura fra Usa e Urss. A riaccendere, infatti, i toni di questo conflitto fra Polisario-Algeria e Marocco, si sono andate inserendo negli ultimi mesi rivalità fra soggetti anche distanti geograficamente da quella porzione di Africa, le cui ambizioni di influenza e controllo paiono non essere più un mistero.



LE AMBIZIONI CRESCENTI SULL’AFRICA DEL SULTANO ERDOGAN
I due assi nascenti contendenti sono rappresentati da un lato dalla Turchia, Pakistan e Iran (a supporto dell’Algeria) e dall’altro da Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Bahrein (pro Marocco). In pratica un blocco musulmano non-arabo contro quello musulmano arabo. Il primo ricalca un’eredità storica, essendo stata l’Algeria resistente da sempre alle pressioni di altri Paesi arabi e vicina un tempo all’Unione Sovietica e ora alla Russia (da qui le affinità con l’Iran); mentre il Marocco è da sempre un baluardo certo e solido dell’altro schieramento più vicino agli Stati Uniti. Ad essere particolarmente agguerriti in questo faccia a faccia sul Sahara Occidentale sarebbero, manco a dirlo, la Turchia e gli EAU. La prima guarda al suo controllo del Sahara Occidentale come la chiusa di un cerchio turco-africano che parte dal Corno d’Africa, in particolare dalla Somalia dove Ankara, fra gli innumerevoli interventi, gestisce infrastrutture critiche (il porto di Mogadiscio) e in cui disloca la sua più grande struttura di addestramento militare d’oltremare, per arrivare appunto all’Atlantico. Ed è qui che l’Algeria ha un ruolo strategico, essendo il secondo partner commerciale africano della Turchia, dopo l’Egitto con cui, al momento, sta ai ferri corti anche per via della Libia. L’altro soggetto sono appunto gli EAU, che hanno deciso di estendere il loro raggio d’azione e influenza in funzione antiturca in quella parte di Africa. E il Sahara Occidentale è solo uno dei tanti argomenti che vedono contrapposti Abu Dhabi e Ankara: dalla Libia, al gas naturale nel Mediterraneo orientale, passando dal destino del Mar Rosso e appunto quello del Corno d’Africa. Da qui il supporto di EAU al Marocco nel confronto con il Polisario, sostenuto invece ampiamente dall’Algeria, come partner strategico, a questo punto “armato”, della Turchia. Ma questo gioco di pedine rischia un’evoluzione pericolosa per la stabilità dell’intera area.



NELLO SCONTRO SI INSINUA PREPOTENTE IL JIHĀD
Nelle tensioni fra queste piccole ma prepotenti potenze si sta insinuando, con violenza, il tarlo oscuro del jihādismo. Appelli alla violenza e al jihād stanno infatti comparendo in video trasmessi via social da soggetti appartenenti al Polisario: un incitamento ai giovani alla lotta armata e agli attentati suicidi. Un appello che pare essere accolto, perché sono proprio i giovani che reclamano un’azione più aggressiva per l’indipendenza. Qualsiasi cosa, per costoro, è più accettabile che l’attuale stasi che per loro non porta ad alternative di vita. E il nemico da colpire è il Marocco. I video mostrano adolescenti, in mimetica, con tanto di bandiera del Polisario, che inneggiano alla guerra e alla lotta, in una modalità che ricorda quella jihādista. Gli appelli paiono essere stati registrati proprio a Tindouf, in quel campo profughi dei Sahrawi in cui ha vissuto per anni Adnan Abu Walid al-Sahrawi a capo, ora, dello Stato Islamico del Grande Sahara, su cui pende una taglia di 5 milioni di dollari per la morte di 4 militari statunitensi in Niger. Al suo marchio corrisponde l’affiliazione a quello Stato Islamico che seppur in difficoltà nel Vicino Oriente è in forte ascesa nel Sahel, laddove ciò che gli sta sopravvivendo, ossia i suoi principi ideologici (aqeeda) e quelli strategici (manhaj) trovano accoglienza e applicazione, come risultato principale del suo proiettarsi oltre i confini operativi tradizionali, contribuendo così al suo carattere transnazionale e alla perpetuazione del suo progetto. Ecco perché si temono infiltrazioni jihādiste filo Isis fra quelle tende di Sahrawi senzapatria. Proprio questo Stato Islamico del Grande Sahara è protagonista di brutali violenze dal Mali, alla Mauritania sino al Burkina Faso e contrastato, in quei luoghi, per lo più dalla Francia, non a caso fra i più agguerriti avversari della Turchia in tutti gli attuali scenari di crisi e guerre. Non si tratta però di coincidenze. Non ci sono mai banali e scontate coincidenze nelle turbolenti relazioni internazionali, soprattutto di quest’ultimo ventennio. E il recuperato vigore di conflitti congelati e sospesi del secolo scorso, attraverso l’afflato di un jihādismo sponsorizzato da medie potenze e accolto da alcuni di quei vecchi protagonisti, come il Fronte Polisario, ne è la conseguenza e al contempo la testimonianza più drammatica, gravida di incognite per il futuro di molte regioni.




Posted on: 2020/12/06, by :