La salvezza dei profughi di Lipa ci riguarda da vicino

di Marco Travaglini|

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Un terribile disastro umanitario. E una vergogna per tutti. Questo è ciò che sta accadendo in quel che resta del campo profughi di Lipa, località bosniaca situata a circa trenta chilometri da Bihać. Il campo, in funzione dallo scorso aprile, ospitava circa 1500 migranti in transito in questo area a nord ovest della Bosnia verso un Europa che ha sigillato le frontiere e che li respinge. I profughi, bloccati in questa sorta di limbo, vivono in condizioni estreme, disperate sotto ogni punto di vista. L’agenzia dell’Onu per le migrazioni (Oim) gestiva questo campo e ne aveva disposto la chiusura poco prima che un incendio lo distruggesse quasi completamente nei giorni scorsi. Da quel momento centinaia di persone, abbandonate al loro destino, vagano per i boschi lottando per sopravvivere alla mancanza di cibo e acqua, subendo la stretta del gelo invernale nei Balcani. Una situazione che si riscontra anche in altre realtà della Bosnia, ma che assume i caratteri di una catastrofe umanitaria per i migranti rimasti fuori dal campo profughi di Lipa in un contesto dove crescono l’intolleranza di parte della popolazione per una situazione ormai fuori controllo.

Si tratta di una questione drammatica e dolorosa che riguarda l’intera comunità europea considerato che i Paesi della ex Jugoslavia non hanno ancora trovato stabilità ed equilibrio dopo la sanguinosa guerra degli anni Novanta. Le loro vicende hanno radici lontane se solo pensiamo che, oltre mezzo secolo fa, Winston Churchill commentava così la natura di quelle terre: “Gli spazi balcanici contengono più storia di quanta ne possano consumare”. Parole che suscitano un brivido, un’inquietudine. Basterebbe riguardare le immagini dei clandestini che negli anni Novanta, per sfuggire alle guerre, attraversavano come oggi quelle frontiere. Fermati dalle polizie, schedati e rimandati ai loro Paesi d’origine, lasciando per terra lungo le maglie bucate delle reti le proprie memorie, i ricordi, le fotografie dei propri cari, i documenti, gli oggetti personali per non essere identificati dalle autorità di frontiera. Quelle reti diventavano la porta per l’Europa di Schengen come ieri il passaggio a nord di Subotica o la nuova rotta balcanica che attraversa il cuore della Bosnia e porta migliaia di migranti nel cuore di Sarajevo, a Bihać, in altre località. Oggi si ritrovano bloccati in Bosnia, molti nei pressi del confine con la Croazia, ghermiti dal gelo di uno degli inverni più rigidi.

Sono uomini e donne per lo più siriani, afghani pachistani. Hanno intrapreso un viaggio della speranza lungo la “balkan route”, fuggendo dal dramma del conflitto siriano, da fame e guerra, violenze e assoluta negazione di ogni futuro. Persone che impiegano anni che sembrano secoli in questo doloroso peregrinare. Storie di chi dal 2012 è stato costretto a vivere da profugo quando in patria erano imbianchini, artigiani, tassisti, operai. Alcuni possedevano terreni, quasi tutti avevano la casa di proprietà. Avevano una dignità e riuscivano ad arrivare a fine mese. Ogni storia ne apre altre, innumerevoli, infinite. Disperderle, dimenticarle equivarrebbe ad un misfatto insopportabile, intollerabile. Si possono costruire altri muri, raddoppiare il filo spinato, ma i confini non possono fermare chi è disperato, trascorre notti e giorni all’addiaccio, nei campi, sotto la pioggia, con poca acqua e scarso cibo. Questi “esiliati” esercitano il diritto di attraversare i territori alla ricerca di una speranza, dopo aver voltato le spalle a guerre, rapine e violenze. Chiedono aiuto alle Nazioni Unite, all’organizzazione internazionale per le migrazioni e alle Ong. Se nessuno raccoglierà il loro appello disperato la loro sorte è segnata. E sarebbe un crimine. L’Europa ha voltato spesso lo sguardo altrove, pur promettendo che ciò non sarebbe più accaduto. Descrivendo il Novecento è stato scritto che molta parte della storia di quel secolo inizia e finisce lì, nel cuore dei Balcani. E che molto di ciò che ha segnato la storia europea si intuisce e si può capire “leggendo” ciò che accade in quelle terre. Forse è il caso di rifletterci e, altrettanto in fretta, agire.
(Foto di Paolo Siccardi)




Posted on: 2020/12/29, by :