Storia della sanità, capitolo XXVII
Bisanzio e i bizantinismi medici

di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |

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Quando nel 326 l’imperatore Costantino, dopo aver proclamato nel 313 il cristianesimo religione ufficiale di Stato, spostò a Bisanzio la capitale dell’Impero romano, una gran massa di indigenti raggiunse la nuova megalopoli sperando di raccogliere maggiori attenzioni che non nelle altre province e con il Codice Giustinianeo (I, 3, del 530) si codificò anche l’amministrazione, distinguendo vari tipi di istituzioni: oltre allo xenodochio per i forestieri e i pellegrini, il nosocomio per gli infermi, il ptocotrofio (o ptochio) per i poveri, il gerontocomio per gli anziani, il brefotrofio per i bambini abbandonati e l’orfanotrofio per i bambini orfani.

A Bisanzio si concentrò sia la fierezza dei soldati romani che la decadenza dei costumi dell’Impero tanto da definire bizantinismi ancor oggi tutto ciò che risulta cavilloso o sofistico. Eppure l’inizio dell’impero d’Oriente si mosse da ben altra concezione della vita e della morte come riporta il seguente brano: “La guerra è il pittore della morte” disse un comandante bizantino, aggiungendo che essi si esercitavano costantemente a morire.

L’orgoglio della casta militare dell’Impero d’Oriente

La retorica militare ci aiuta a capire come fosse affrontata la morte da parte dei soldati, le frasi come “meglio morire in battaglia che a letto” oppure “che nulla è più dolce che morire in battaglia” individuano una filosofia simile ai greci della classicità. Difficilmente si affacciano reminiscenze cristiane, pochissime celebrazioni liturgiche venivano accordate ai morti di guerra. La morte era vista come qualcosa che permetteva ad un umile soldato di ergersi a paladino dell’impero, riportiamo una piccola parte dell’opera storica di Teofilatto Simocatta (VII secolo): “c’era un soldato che agonizzava: il suo corpo era trafitto da numerose frecce che non era possibile rimuovere. Lo si condusse all’accampamento, ma anche i medici erano impotenti, Eppure sembrava che a quell’uomo interessasse sopravvivere solo per avere risposta ad una domanda “I Romani hanno vinto? Certo che hanno vinto! Allora lasciò che gli estraessero le frecce dal corpo e morì”.

L’incontro e l’incrocio di più culture

Per fronteggiare le situazioni più disperate si attrezzarono diversi ospedali riflettenti, a loro modo, le diverse impostazioni cultural-religiose presenti nella nuova capitale. È quasi come se Paganesimo, Arianesimo, Anomianesimo e Cristianesimo avessero deciso di cimentarsi anche sull’arte della guarigione per dimostrare la propria verità. Anzi, una maggiore efficacia nel curare la gente sarebbe stata la miglior controprova della veridicità assoluta del proprio credo. La rivalità tra le diverse confessioni aveva, infatti, portato a rivaleggiare su chi meglio si organizzava nella cura degli infermi. Frutto di queste dispute furono una decina di strutture, tra cui la più famosa fu l’ospedale di Basilio a Cesarea (eretto intorno al 370) modellato su quello di Eustachio di Ponto, realizzato per contrastare le iniziative degli Anomiani. Nel dubbio, Costantino, si era avvalso sia all’aiuto di sacerdoti cristiani, come Zotico, Alessandro di Tralles e Paolo di Egina, sia di tradizionalisti pagani come Oribondo di Pergamo o Ezio di Amida. Insieme queste culture diedero avvio ad un nuovo polo culturale, caratterizzato dall’incontro tra la cultura e le conoscenze classiche e la spiritualità cristiana, in grado di recepire i suggerimenti che arrivavano dai commercianti che si spingevano verso l’estremo oriente.

Le iniziative del dottor Zotico

Come in tutte le società decadenti, più che i grandi movimenti culturali sono le persone a dettare le innovazioni. Infatti, a Bisanzio, più che altrove, emersero personaggi di spicco, nonché vere e proprie scuole specialistiche. Campione della nuova concezione cristiana fu il dottor Zotico che, dando attuazione alle disposizioni del Concilio di Nicea del 325, cominciò a costruire ricoveri, onde evitare che la nuova sede del governo venisse minata nell’estetica e nell’ordine pubblico da una massa di mendicanti affamati ed ammalati. Questi edifici seguivano il concetto di strutture a scopo caritativo, quindi scarsamente differenziate, dove si faceva fronte sia alla povertà che all’infermità, seguendo la parabola del buon samaritano. Nello stesso fabbricato venivano, infatti, accolti sia i pellegrini in viaggio per la Palestina, sia i poveri affamati, sia i malati (paupertas et infirmitas).

I residui del paganesimo

Sul lato opposto per rappresentare i medici pagani possiamo ricordare Oribasio di Pergamo, amico e medico personale dell’imperatore Giuliano (360-363 d.C.) che ottenne il titolo di questore di Costantinopoli, a testimonianza dell’importanza attribuita al ruolo ricoperto. Facendo tesoro delle conoscenze elaborate da Galeno, al punto che fu definito “La scimmia di Galeno” (vuoi per il suo continuo rifarsi al grande maestro, vuoi per il rifarsi agli studi su questi mammiferi per spiegare il corpo umano) scrisse un’antologia Sinagoghe mediche – Synagogaí iatrikaí, suddiviso in 70 libri, che rappresenta un eccellente sunto della storia della medicina precristiana. È grazie a quest’opera che sono passati ai giorni nostri gli studi sugli aneurismi di Antillo vissuto (II secolo d.C.). Oribasio è però diventato famoso soprattutto per il primo riassunto organico del sapere medico: una sorta di bignami ante litteram realizzato per suo figlio Eustazio, con il nome di Sinopsi, dove in 9 libri si riassumeva tutto il sapere medico, comprensivo di un piccolo trattato sui “Medicamenti di facile preparazione”, l’Euporista. Oggettivamente più che di un’opera innovativa, si trattò di un’opera di grande valore divulgativo grazie al quale si formarono, per secoli, un gran numero di medici. Per la prima volta forse si può parlare di una cultura di base uniforme, cui tutti devono rapportarsi.

Con Giustiniano nascono brefotrofi, orfanotrofio, gerontocomi e nosocomi.

La capacità di avviare un’azione didattica viene testimoniata anche da Alessandro di Tralles, fratello dell’architetto della Chiesa di Santa Sofia, che riportò dai suoi viaggi in oriente diverse soluzioni terapeutiche, e cui pratiche sono riassunte in un testo dal titolo: De arte medicinae. È in questo libro che si riporta la composizione chimica delle miracolose pillole di Cinoglossa: scorza di Cinoglossa (27%), Giusquiamo (24%), Mirra (36%), e oppio (12%). E con la presenza di un po’ di oppio è ovvio che il “beneficiato” si percepisse in buona forma… Oltre all’opera dei singoli medici, la ricchezza della nuova capitale permise di costruire, differenziandoli, diversi edifici e di farla diventare la capitale del sapere medico allora conosciuto. Se al momento del trasferimento della capitale, la cura dei malati era affidata essenzialmente ad una serie di medici civici, con la decisione di Giustiniano di sostituirli, intorno al 532, con il corpo medico degli ospedali ecclesiastici, l’asset portante dell’assistenza fu offerta dagli ostelli (xenones) e dagli ospedali (nosokomeia). A sancire un approccio differenziato fu lo stesso Codice Giustiniano che impose la realizzazione di una serie di istituzioni finalizzate: il brefotrofio, l’orfanotrofio, il gerontocomio e il nosocomio. Nascono così in ogni angolo dell’impero ospedali dedicati tra cui merita di essere ricordato quello eretto da San Basilio, nei pressi di Cesarea di Cappadocia di cui parla San Gregorio Nazianzeno e quelli di Pantokrator e Lips, quest’ultimo dedicato esclusivamente alle donne malate: tutti voluti dalla casa regnante, dove per la prima volta, alle capienti dimensioni, si associarono anche confort e sfarzo.




Posted on: 2021/01/29, by :