Pagine di storia

I 150 anni della Comune di Parigi. (seconda parte)

di Stefano Marengo|

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La Comune di Parigi fu ufficialmente proclamata “in nome del popolo” il 28 marzo del 1871 in una place de l’Hôtel de Ville gremita da oltre duecentomila cittadini. Due giorni prima si erano celebrate in tutta la città le elezioni del Consiglio municipale. Al termine dello scrutinio, tra gli 85 eletti figuravano una ventina di giacobini, 17 internazionalisti, ossia aderenti alla Prima Internazionale, 14 rappresentanti della guardia nazionale, 12 blanquisti, cioè socialisti che si ispiravano alla visione di Auguste Blanqui. Un parterre piuttosto variegato, che dà l’idea di quante e quali fossero le spinte rivoluzionarie presenti nella società parigina. Fatto significativo, sia durante rivolta del 18 marzo sia in occasione delle elezioni, fu l’assenza di una forte leadership carismatica. La Comune fu sin dall’inizio un movimento corale, collettivo, fondato sul mutualismo, come dimostrano i numerosi club rivoluzionari che sorsero spontaneamente in tutta Parigi e che furono luoghi di ritrovo, discussione e organizzazione per tutto il popolo.

Il Consiglio municipale, vero e proprio organo di governo rivoluzionario della città, si insediò la sera stessa del 28 marzo e diede immediatamente corso a un’intensa attività politica e legislativa. Per far fronte alla situazione di grave crisi sociale, ad esempio, tra i primi provvedimenti adottati ci furono il blocco degli affitti, la sospensione delle vendite di oggetti impegnati al monte di pietà e la requisizione delle case abbandonate a favore dei senzatetto. Successivamente furono adottate norme altrettanto caratterizzanti: fu abolita la coscrizione e l’esercito venne sostituito dalla milizia popolare; fu dichiarata l’obbligatorietà, gratuità e laicità dell’istruzione, a cui tutti dovevano avere accesso senza distinzioni di sesso, razza, nazionalità o condizione sociale, e contestualmente venne avviata la riforma della pedagogia e delle istituzioni scolastiche; fu sancita la separazione di Chiesa e Stato e venne abolito il finanziamento pubblico del culto.

Per quanto riguarda il settore del lavoro e dell’economia, dove maggiormente si concentrò l’attività dei rappresentanti della Prima Internazionale vicini a Marx, furono aboliti il lavoro notturno e le multe e le trattenute sui salari; fu ridotta la durata della giornata lavorativa; vennero stabiliti minimi salariali capaci di garantire una condizione di vita dignitosa; fu introdotta per legge la parità salariale tra uomini e donne; si sperimentarono nuove forme di cooperazione tra lavoratori; si diede corso, infine, all’autogestione operaia delle fabbriche abbandonate. Il 19 aprile, con la Dichiarazione al popolo francese, la Comune proclamava di garantire le libertà individuali, di coscienza e di lavoro e sanciva il principio dell’intervento permanente dei cittadini negli affari politici. A imporsi era un modello di democrazia diretta fondato sul controllo degli eletti e sulla loro revocabilità da parte del popolo. Si stabiliva inoltre che ogni carica pubblica, anche amministrativa, doveva essere assegnata per concorso o per elezione, e non per nomina arbitraria. L’idea che sostanziava questi indirizzi era che, per garantire l’effettiva sovranità popolare, il potere dovesse essere il più decentralizzato possibile. La società, in altri termini, rivendicava il suo primato sulla politica, o almeno sulla politica intesa come sfera elitaria.

La stagione comunarda, come si sa, fu breve: 72 giorni. Sulla sua fine pesarono senza dubbio alcuni errori strategici, come il non aver attaccato Versailles, dove risiedeva il governo Thiers, nel corso della sollevazione del 18 marzo. Né vanno trascurati alcuni contrasti sulle linee politiche che si manifestarono in seno al Consiglio municipale alcune settimane dopo il suo insediamento. È tuttavia fuor di dubbio che, presto o tardi, la Comune sarebbe capitolata, se non altro per la pressione dell’esercito di Versailles e degli occupanti prussiani che, di fatto, isolavano Parigi dal resto del mondo. L’offensiva versagliese, iniziatasi già ad aprile, si dispiegò pienamente il mese successivo. L’esercito, agli ordini del generale MacMahon, entrò in città il 21 maggio. Iniziò quel giorno la “settimana di sangue”, sette giorni durante i quali si consumò il massacro indiscriminato di almeno ventimila comunardi. La resistenza, disperata, durò fino al 28 maggio, una domenica, quando i fucili e i cannoni tacquero anche a Belleville, ultima ridotta della Comune. Non distante da lì, lungo il muro di cinta del cimitero di Père-Lachaise, nei giorni successivi sarebbero stati fucilati altri centinaia di comunardi: quel luogo prenderà poi il nome di Mur des Fédérés e diventerà meta di pellegrinaggio per i rivoluzionari di tutto il mondo.

Fu un’enorme strage. Una lunga, ininterrotta scia di sangue arrivò a macchiare anche le acque della Senna. Riferendosi alla sorte dei comunardi, Thiers telegrafò ai prefetti: “Il suolo è disseminato dei loro cadaveri. Questo spettacolo spaventoso servirà di lezione”. Tanta efferatezza era un monito per i proletari di tutto il continente: la struttura classista della società non andava in alcun modo messa in discussione. Lo stesso messaggio fu veicolato dalla stampa liberale e conservatrice in ogni angolo d’Europa, che plaudì alla fine della Comune e all’ordine ritrovato. L’auspicio delle oligarchie del potere borghese, tuttavia, non si realizzò. I sogni dei comunardi e la loro eroica resistenza segnarono una svolta nella storia del movimento operaio e del socialismo. Il mondo, dopo i 72 giorni di Parigi, non poteva più essere lo stesso. L’esempio della Comune sarebbe rimasto nella memoria dei popoli e avrebbe alimentato l’immaginario dei rivoluzionari per i decenni successivi.




Posted on: 2021/03/23, by :