Tra passato e presente, il ritorno alla scuola di partito

di Anna Paschero |

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Dopo sette anni di attività e due di sospensione a causa della pandemia, è ripresa in questi giorni l’attività della scuola di formazione regionale del Piemonte del Partito Democratico “L’arte di Amministrare”, rivolta a neo o aspiranti amministratori. Un evento che ha raccolto, inaspettatamente, un significativo numero di adesioni come segno evidente del bisogno di acquisire gli strumenti del mestiere di “amministrare”, non solo da parte di iscritti, ma anche di simpatizzanti, in un contesto che non concede, vista la sua complessità, improvvisazioni né dilettantismi. Una iniziativa che arriva da lontano.

Non so cosa rimanga oggi di quella villa sulla via Appia dove, dal dopoguerra all’inizio degli anni ‘90, sono stati formati migliaia di militanti e funzionari del Partito Comunista Italiano. La prestigiosa scuola di Frattocchie, come il restante complesso educativo organizzato negli anni successivi dal PCI su base regionale e nazionale, ospitava in quella struttura residenziale gli iscritti selezionati dalle federazioni provinciali, destinati a diventare i futuri dirigenti del partito.

Le scuole del partito comunista italiano hanno disegnato un metodo originale di educazione dove l’attenzione nei confronti degli studenti rappresentava l’aspetto centrale. Chi partecipava era consapevole di essere, per il partito, un investimento, il cui valore doveva venire restituito con un rendimento scolastico ineccepibile, non solo negli studi, ma anche nel comportamento. L’impegno nell’apprendere era affiancato infatti dalla disciplina, dalla capacità di autocritica, ma anche dallo sforzo di smussare i propri difetti, imparando a convivere e confrontarsi con gli altri. Il Partito sceglieva in questo modo i quadri, da collocare nella sua organizzazione e nei ruoli di governo centrali o periferici, quadri che dovevano risultare adeguati ai compiti nuovi che le mutate condizioni storiche imponevano.

Se in una prima fase la formazione venne intesa come strumento ideologico di organizzazione e integrazione culturale delle classi popolari, con l’affermazione politica del PCI di metà degli anni ’70 si aprirono le porte di moltissime amministrazioni locali e un numero crescente di quadri venne quindi destinato a ricoprire incarichi di responsabilità pubblica. Per essere capaci di dare risposta ai nuovi problemi da affrontare bisognava assimilare gli strumenti e gli istituti del governare: si trattava in altre parole di conoscere lo Stato e le sue istituzioni, funzionamento e leggi. L’attitudine allo studio dei militanti comunisti, iniziata negli anni del confino e del carcere, si rinsaldava in quegli anni affrontando tematiche economiche che dovevano diventare patrimonio di base del bagaglio culturale del quadro del Partito.

Il Dizionario di economia politica di Luciano Barca pubblicato da “Editori Riuniti” nel 1974 segnò non solo un successo editoriale, ma anche l’apice della pedagogia politica ed economica comunista. Fu così che militanti provenienti principalmente dal mondo operaio, grazie alle “università degli studi politici” divennero fautori e protagonisti di grandi riforme realizzate nei mitici anni ’70 in diversi ambiti della vita pubblica del Paese. La liquidazione del Partito Comunista Italiano con la svolta che portò al PDS, provoco l’esaurimento dell’esperienza straordinaria delle scuole di formazione politica, di cui oggi resta evocativo solo il nome: le Frattocchie. Nome comunque usato dai movimenti e partiti della scena contemporanea per indicare un seminario o corso per la selezione della classe dirigente.

Nella sua presentazione della “Scuola di Partito Pier Paolo Pasolini” al Lingotto di Torino anche Matteo Renzi si richiamò a quell’esperienza: “se vorranno prenderci in giro e diranno che è la Frattocchie 2, facciano pure, ma c’è bisogno di studiare”; frase infelice, perché fu un prendere le distanze da quell’esperienza, ma che affermava tuttavia la necessità di legittimare la scuola del PD come luogo per la selezione di nuove leve politiche. Ora, come anticipato nel distico, ritorna la scuola del Pd del Piemonte. Si tratta di un segno, di un indizio che non necessariamente va ristretto ai Dem. Anzi. La politica nel suo insieme, infatti, dovrebbe augurarsi che segno o indizio si trasformi con continuità in una rinnovata voglia di impegno per dare vitalità a questa interminabile attesa di normalità. Un’attesa figlia di un tempo congelato destinato, ce lo auguriamo tutti, ad esplodere verso un orizzonte nuovo al termine di questa terribile avventura che ci sconvolge da oltre un anno.




Posted on: 2021/03/27, by :