L’uomo del “vaffa” è sempre lo stesso, arrogante e prepotente

di Menandro|

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Poche parole per stigmatizzare le parole del leader maximo del “vaffa” italiano, dell’uomo che ha offerto pieno diritto di cittadinanza anche a chi era discriminato perché incapace di collegare la lingua al cervello o viceversa in tempo reale. Parliamo di Beppe Grillo, ritornato indirettamente agli onori della cronaca giudiziaria per la grave vicenda che coinvolge il figlio Ciro, accusato di violenza carnale su una giovane donna. E ritornato, per le sue implicazioni, anche alla cronaca politica, se riandiamo all’investitura data proprio da Grillo a Giuseppe Conte per rifondare il Movimento Cinque stelle. Per la dinastia Grillo purtroppo non è una novità ritrovarsi al centro di inchieste penali. Ad aprire la strada fu proprio il “patriarca” non ancora star politica, ma comica, condannato dalla Corte d’Appello di Torino, pena confermata dalla Cassazione, per la sua responsabilità nella morte di tre persone, tra cui un bambino di 9 anni, in un incidente stradale avvenuto il 7 dicembre 1981 nei pressi di Limone Piemonte, al confine con la Francia. Una storia triste e dolorosa per Grillo (le vittime erano suoi amici) e forse mai del tutto risolta sul piano umano per il diretto interessato.1. Che oggi si ritrova nel medesimo collo d’imbuto: un’inchiesta penale, la pressione dei media, la raffica di giudizi politici sullo sfondo delle gravi accuse al figlio.

Un’eco pesante e lugubre per chiunque che merita tutta la pietas umana che si deve in queste circostanze. Il che può spiegare anche le sue parole di reazione, ma non le giustifica. Quelle parole non si giustificano per rispetto alla presunta vittima, agli stessi accusati, alla magistratura. Dinanzi a un episodio di questa portata, chi ha un ruolo politico quindi pubblico, e lo ha avuto e lo ha anche cedendo e eccedendo al piacere del turpiloquio nelle piazze italiane, ha il dovere morale di non cedere alla facilità dello sfogo, esattamente come nessun individuo si può permettere di cedere allo stupro, principe maledetto degli sfoghi sessuali.

Infine, non è giustificabile lo sfogo sull’esistenza di un video come prova-madre dell’innocenza che scagionerebbe suo figlio e i suoi amici, definiti con l’abituale linguaggio colorito “ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande e saltellano col pisello così perché sono 4 coglioni, non 4 stupratori e io sono stufo perché sono due anni. Se dovete arrestare mio figlio, che non ha fatto niente, allora arrestate anche me, perché ci vado io in galera”. È uno sfogo che neppure un comico si può permettere.

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