E le stelle (a strisce) stanno a guardare…

di Menandro|

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La carneficina sulla striscia di Gaza continua. E i ragionieri di vite spezzate sono da sette giorni alacremente al lavoro. Dall’inizio del lugubre ping-pong di bombe e razzi tra Israele e gli estremisti di Hamas, i contabili della guerra aggiornano con certosina precisione le cifre su morti e feriti. È un aggiornamento scrupoloso, ma soprattutto attento alle ripartizioni per classi di età: delle vittime a Gaza, sono bambini poco meno di un terzo. Distinguo con cui si punta alle emozioni, alla pietà di chi ascolta e di chi legge. Una sorta di sanificazione della coscienza del mondo. Così lo si scrive e dice come se, più dell’età delle altre vittime, l’infanzia per l’innocenza che la contraddistingue dovesse in qualche modo ricordare ai Grandi della Terra l’urgenza di fare presto, di scongiurare altri morti, di evitare l’escalation militare della stella di David e la asimmetrica reazione dei missili di Hamas. Un calcolo dialettico fine a se stesso, che si ripete con crudele inutilità in tutte guerre non convenzionali, fino a passare quasi inosservato, mentre ai telegiornali si osservano palazzi e case crollare senza collegarli al valore e all’importanza avuti per le persone che li vivono.

Ipocrisia. Conformismo. Doppia crudeltà rispetto alle sofferenze delle popolazioni civili e al degrado infernale – come ha raccontato con emozione nel suo articolo Germana Tappero Merlo1 – in cui sono precipitati gli arabo-israeliani e israeliani. Stesse facce, stessa razza, quella “umana” come avrebbe sottoscritto Albert Einstein, che hanno convissuto in modo pacifico per decenni, cercando di scoprire il meglio degli uni e degli altri. Le cronache di linciaggi e di orrori in quel lembo di terra che si fa persino fatica a individuare sulla carta geografica, riporta alla memoria la guerra intestina dei Balcani tra serbi, croati, bosniaci, tra persone che fino al giorno prima dell’odio erano amici, se non addirittura parenti, diventate improvvisamente nemici da eliminare secondo i manuali non scritti, ma vissuti e rivissuti dalla storia, della pulizia etnica.

Tutto si ripete con puntuale efferatezza. Eppure, che cosa abbiano fatto fino ad oggi i Grandi (?) della Terra per scongiurare il propalarsi dell’ennesima tragedia rimane un mistero. Secondo le agenzie, ci sono state molte telefonate. Parole. In particolare, ad essere stato messo sotto pressione è il centralino della Casa Bianca, da quando Joe Biden, il presidente della nazione più potente del mondo, ha chiamato per par condicio sia il palestinese Abu Mazen, sia l’israeliano Netanyahu. Ma di iniziative concrete non si ha sentore. Peccato. Biden avrebbe l’opportunità di allargare, declinati anche sui palestinesi (e di riflesso anche sul suo alleato Israele), gli accordi di Abramo sottoscritti dal suo precedessore Donald Trump, e puntare ad un deciso isolamento degli estremisti israeliani e di Hamas che oggi tengono in ostaggio la pace nel Vicino oriente. Biden deve assumersi le sue responsabilità e prendere posizione, anche a costo di dare qualche dispiacere al primo ministro di Israele. Tanto i nodi prima o poi verranno al pettine. E non sarà la finta indifferenza di Cina e di Russia, che lavorano sottotraccia, a far emergere come saggezza il suo silenzio.

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