Giustizia su commissione dagli Usa

di Emanuele Davide Ruffino |

|



Noi italiani pensavamo, con la giustizia ad orologeria, di aver conservato l’etichetta di patria del diritto, ma il presidente americano Donald Trump, con la giustizia su richiesta, si potrebbe quasi dire “prêt à porter”, ci ha superato. Il vuoto lasciato dalla mancanza di dialettica politica è sempre più occupato da pratiche rivolte a denigrare l’avversario: i democratici (il partito dei Clinton) più di tanto non potevano forzare la mano sul loro avversario Trump, con le avventure non proprio galanti del Bill dell’Arkansas cui fanno spesso riferimento i rotocalchi americani. Per fortuna che il Presidente si è fidato troppo dei telefoni per enunciare le sue linee politiche: in sintesi “mi dia mezzo kg di fango sul figlio di un mio avversario!”. Fino ad oggi, Nancy Pelosi, speaker della Camera, ha resistito nell’affermare che la politica si fa confrontando le idee (principio già affermato da Emanuele Macaluso, decenni or sono dalle colonne de l’Unità), ma anche lei ha dovuto cedere. Così l’idea di incriminare l’avversario, alla fine ha preso il sopravvento. Ora, più che chiedersi come andrà a finire, forse sarà opportuno cominciare a riflettere sui nuovi campi di battaglia, un po’ paludosi, dove avverranno i futuri scontri politici: instaurare un dubbio sulla moralità dell’avversario più grande di quelli che si è riusciti a creare in precedenza.

Diversi sono i potenziali attori che si candidano alla singolar tenzone. Pochi per dissipare la questione, molti per trarne un qualche vantaggio. Per decenni sono stati i magistrati, tutori del rispetto delle Leggi e delle Costituzioni, a ergersi salomonicamente giudici imparziali sulle malefatte commesse dai politici. Le loro decisioni inevitabilmente hanno influito sul corpo elettorale, sempre meno disposto a sopportare una classe politica non adeguata: Tangentopoli in Italia, l’ascesa di Macron in Francia, il caso Austria, ma l’espressione massima è offerta dall’Inghilterra, dove i tempi della politica sono scanditi dalla Corte suprema e il Parlamento non riesce più ad offrire soluzioni. La soluzione offerta dalle magistrature però non sembra più sufficiente a dirimere le situazioni. Le critiche al loro ruolo sono diverse a partire dall’ergersi a casta sacerdotale a cui tutto bisogna riportare, ai dubbi che assalgono sulle modalità di selezione dei magistrati e ai loro organi di autogoverno (lo scandalo che ha coinvolto il Csm, ne è un esempio). La vera criticità è però da ricercare nel fatto che, per una società in vertiginoso cambiamento, non è più sufficiente rifarsi a quanto sancito in passato, ma occorre offrire soluzioni innovative che comportano scelte di natura politica. La miglior Legge deve essere sistematicamente rivista e aggiornata e ciò comporta scelte riformatrici e non solo interpretative. Oggi nuovi soggetti si propongo sullo scenario, per coprire questo ruolo, anche se in forme ancora confuse: il mondo del web tende a condannare all’oblio o a dar visione ai fatti distorcendoli non sempre inconsapevolmente. Anche i talk show cercano di sostituirsi ai tribunali anticipando i dibattiti (anche con l’uso dei plastici per spiegare l’accaduto), guardando e riguardando i fatti, senza arrivare però a soluzioni. Le società di indagini statistiche condizionano i mercati, ma non esprimono un criterio per prendere decisioni. In ultimo, anche le tifoserie calcistiche organizzate si sentono legittimate a governare dei “momenti” sociali. Il crollo delle ideologie ha inoltre complicato la situazione, facendo venir meno i cardini di riferimento per approcciare un ragionamento. Le scelte che riguardano il nostro futuro richiedono l’elaborazione di un substrato culturale in grado di predisporre un impianto che indaghi le fonti, le modalità e i limiti del nostro modo di apprendere e di ragionare in modo che una decisione possa essere presa non in base all’emotività del momento, ma su schemi razionali e collaudati dall’esperienza. Il pensare di governare grazie a sotterfugi esprime la decadenza della nostra società, non tanto perché qualche politico tenta vie non ufficiali per guadagnare consensi, quanto perché questi fatti diventano determinanti nelle scelta della maggioranza della popolazione. L’antidoto per diminuire l’abitudine ad inventare o accentuare alcune presunte malefatte è quello di non determinare le nostre simpatie in funzione di un fatto facilmente manipolabile. Le nostre scelte sono sempre più condizionate da fatti di cui non possiamo testarne la veridicità, in quanto non si affrontano più le ragioni ultime delle singole questioni. Inevitabilmente, si finisce per diventare preda del sensazionalismo scandalistico. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. .


Posted on: 2019/10/01, by :