“Le culle vuote” e la decadenza italiana

di Luca Rolandi|

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La crisi demografica, su cui da alcuni mesi si è aperto un ampio dibattito, è uno degli aspetti della crisi del Paese. Che è contemporaneamente crisi economica, sociale e culturale. Si tratta forse del tema più emblematico del sovrapporsi di diversi piani di interpretazione della nostra realtà, che contribuiscono tutti a determinare gravi interrogativi per il futuro.

Non ci sono ricette semplici per costruire un’inversione di tendenza al declino demografico. E in ogni caso i tempi per la verifica dei risultati sono molto lunghi. Per la prima volta, con l’approvazione della legge sull’assegno unico per i figli, si imposta una strategia di lungo periodo in linea con le politiche dei più grandi paesi europei. Sappiamo però che un provvedimento non basta: occorre agire in profondità sulle motivazioni di vita dei giovani, sulle aspettative lavorative e professionali, sulla qualità dei servizi per le famiglie. Ma si tratta di un percorso complesso, su cui mantenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica, per evitare che la consapevolezza di oggi venga meno, travolta dalle questioni contingenti e dagli egoismi di individui e categorie.

Di recente, con una ricerca commissionata all’istituto demoscopico “Noto sondaggi”, la Fondazione Donat-Cattin è intervenuta sul tema. Il percorso è partito da confronto con gli attori istituzionali, in primis con la ministra per la famiglia e le pari opportunità Bonetti al mondo sociale e culturale. I dati della ricerca (consultabili sul sito www.fondazionedonatcattin.it) sono eloquenti e fotografano un paese in declino. La maggioranza dei giovani italiani tra i 18 ed i 20 anni immagina il proprio futuro senza figli. Il 51% dei ragazzi interpellati non si immagina genitore. Tra questi il 31% stima che a 40 anni avrà un rapporto di coppia, ma senza figli e un ulteriore 20% pensa che sarà single. Nel valutare i motivi per cui i giovani non vogliono avere figli gli intervistati adducono soprattutto ragioni che riguardano la sfera sociale più che una avversione netta a diventare genitori: la carenza di lavoro in primo luogo (87%), cui segue l’assenza di politiche adeguate per la famiglia (69%); una percentuale analoga però parla anche di crisi delle relazioni stabili mentre solo un ulteriore 37% ritiene i figli un ostacolo in quanto condizionano la vita.

In relazione alla volontà di non avere figli i giovani possono essere divisi in 3 categorie:

1) c’è chi ha un atteggiamento che potremmo definire «narcisista» per cui un figlio, e più in generale legami stabili, limitano la propria libertà;

2) accanto a questa viene espressa però anche una motivazione più «realista» che riguarda la paura di non potersi permettere economicamente questa possibilità;

3) non aver figli, invece, per mancanza di fiducia nella società è indice infine di un atteggiamento «nichilista» che evidenzia il pessimismo di questo target nel guardare al futuro.

Un altro risultato del sondaggio riguarda la sfera dei rapporti sociali e quindi la percezione di sentirsi incluso/escluso da parte dei 18-20 anni. Il 51% vive una forte insoddisfazione in quanto non si sente “pienamente incluso”, a questi si aggiunge un ulteriore 4% che invece lamenta una “esclusione totale”. La minoranza, seppure sostanziosa, il 44% si autodefinisce “incluso.

A percepire le maggiori difficoltà di inserimento sociale sono le donne rispetto agli uomini. È anche interessante notare che la condizione di lavoratore studente appartiene solo ad un giovane su 5 (18%). La maggioranza non ha mai lavorato, mentre il restante 31% ha avuto qualche esperienza di lavoro, ma attualmente ha scelto di dedicarsi unicamente allo studio.

L’inverno demografico e il rischio di vivere in un paese di vecchi non sono però di oggi e non si sono presentati alla porta, come un ospite indesiderati. Erano stati già intravisti e indentificati in passato. Tra i primi ad indicare il rischio fu un politico, l’allora ministro della Sanità Carlo Donat-Cattin, che nel settembre del 1986, al tradizionale convegno della sua corrente “Forze Nuove” a Saint Vincent.

In quella circostanza, Donat-Cattin disse: “Quello che l’Italia ha dato alla storia del mondo non può farci trovare cancellati, di modo che di qui a duecento anni la gente, i ragazzi che vanno a scuola ascolterebbero: ecco c’erano i Sumeri nella pianura del Tigri e dell’Eufrate e c’erano gli italiani tra gli Appennini e le Alpi”. Donat-Cattin vedeva l’Italia come un paese “in scadenza”, destinato a far contare 30 milioni di abitanti nel 2050. Dati che gli aveva fornito il demografo Antonio Golini, confermati anche dalle proiezioni di alcune compagnie di assicurazione. Dati contestati da alcuni giornali, che accusarono il ministro della Sanità di nostalgia verso le politiche demografiche del Ventennio fascista. Purtroppo, le “culle vuote” di questi anni hanno confermato quelle previsioni.




Posted on: 2021/07/03, by :