La guerra ombra sui mari tra Israele e Iran

di Germana Tappero Merlo|

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Nel giorno dell’insediamento del nuovo presidente iraniano Ebrahim Raisi (nella foto), le cronache internazionali riportano i commenti all’ennesimo attacco, per mano iraniana, a navi cargo di proprietà o di gestione israeliana. Teheran nega il coinvolgimento diretto. Tuttavia, analisti e intelligence segnano un’ulteriore crocetta per quella che ormai è definita “la guerra ombra sui mari” fra Israele e Iran, le cui implicazioni vanno oltre quello che sembrerebbe solo una svolta tattica negli scontri quotidiani fra i due nemici. Sullo sfondo vi sarebbero, oltre all’onnipresente questione nucleare iraniana, l’interminabile guerra siriana – dal coinvolgimento per Teheran ormai troppo lungo, costoso e ingombrante per l’alleato russo che vorrebbe gli iraniani fuori dal gioco per risollevare la Siria economicamente senza il ricatto di mancato sostegno economico di chi non accetta la loro presenza – così come le mire di conquista del Libano da parte dell’Iran tramite Hezbollah. Ambizioni che tolgono sicurezza a Israele, ma non solo. Insomma, un inizio travagliato da preoccupazioni internazionali oltre che interne per il nuovo presidente iraniano, non certo moderato e riformista come il suo predecessore, poco o per nulla carismatico, e responsabile invece dell’uccisione di migliaia di oppositori politici e, forse, per questo eletto con una bassissima partecipazione popolare. Spetta a lui, ora, il grave compito di far quadrato attorno al regime degli Ayatollah, piuttosto indebolito da divisioni interne e dall’anzianità avanzata e malata della Guida Suprema Ali Khamenei.

Quest’ultimo attacco sui mari, il terzo dall’inizio dell’anno, al cargo Mercer Street, è avvenuto il 29 luglio nelle acque internazionali antistanti l’Oman. Il mercantile, battente bandiera liberiana e che trasportava petrolio dagli Emirati verso la Tanzania, è di proprietà di una società britannica, è gestito dalla Zodiac Maritime LTD dell’israeliano Eyal Ofer, con sede a Londra, ed era stato noleggiato da una società giapponese. Due le vittime, un inglese e un rumeno, comandante della nave, e danni alla struttura del cargo, prontamente messo in salvo. Di fatto, quindi, si è trattato di un obiettivo non esattamente al 100% attribuibile ad Israele, da cui le critiche alle reazioni politiche e degli alti comandi israeliani che già parlavano di rappresaglia militare contro Teheran.

L’azione iraniana contro il Mercer Street si inquadrerebbe invece proprio come rappresaglia all’attacco dell’aviazione israeliana all’aeroporto siriano di al-Dabaa, nei pressi di al-Qusayr, che è di fatto il sito del programma del lancio di precisione missilistico iraniano posto a disposizione del regime di Damasco, e avvenuto una settimana prima. Nessuna vittima, ma il monito ebraico è stato chiaro. Si è trattato di un obiettivo strategico, quindi, nei piani di Israele per boicottare il rafforzamento della presenza iraniana in Siria. Non da meno, Israele aveva già colpito, nel marzo scorso, un cargo iraniano con greggio destinato agli Assad come parte del programma di finanziamento pro-Hezbollah, nel quale la Siria pagava i suoi debiti petroliferi con Teheran trasferendo denaro proprio all’organizzazione terroristica libanese.

Ma oltre le inevitabili polemiche dell’immediato, nell’ultimo attacco, quello al Mercer Street, c’è molto altro. Le cronache riportano che, di fatto, sono stati due gli attacchi e con l’utilizzo di droni: un primo ha fallito, il secondo ha centrato il mercantile. I commenti generici ribadiscono le preoccupazioni dei marittimi e armatori, sollevando interrogativi sul futuro del traffico commerciale in mare (aumento notevole delle assicurazioni per mancata sicurezza di certe rotte e quanto ne consegue in termini di prezzi finali dei prodotti trasportati, in una riedizione di quanto già visto con la pirateria al largo della Somalia e altrove, con la richiesta anche di una più efficace difesa armata dei mercantili, anche se l’asticella di impegno securitario è posta decisamente più in alto), ma soprattutto svelando quanto le frizioni fra Israele e Iran mostrino l’evoluzione anche tattica di questa guerra, forse ombrosa ma non certo segreta.

Si tratta, infatti, di una guerra sui mari che sta creando divisioni fra esperti, ma che è diventata di fatto un fronte in più nelle preoccupazioni circa la definizione delle linee di difesa di Israele, trattandosi di una ‘campagna fra le guerre’, ossia un tipo di intervento tattico nuovo da parte dell’Iran, che si inserisce nelle due tradizionali linee di fuoco ebraiche: la prima, volta a interrompere il traffico di armi iraniane a sostegno degli hezbollah libanesi e gli sforzi, appunto, di trinceramento degli iraniani in Libano, e che ha visto le forze dello Tsahal colpire obiettivi strategici hezbollah in Siria.

L’altro fronte, invece, è dato dall’intenzione ebraica di bloccare le ambizioni iraniane sul nucleare e che negli anni, almeno dall’inizio del nuovo millennio, ha visto attuare, da parte di Israele, azioni improvvise e operazioni covert, dai sabotaggi, reali e presunti, sia materiali che cibernetici ad infrastrutture critiche – centrali elettriche e impianti vari – alle eliminazioni fisiche, imputate al Mossad, di ingegneri e tecnici coinvolti nel programma nucleare di Teheran. L’attacco al Mercer Street segna comunque un ulteriore passo tattico in avanti a quanto accaduto sino ad ora: è stato il primo condotto con il ricorso a un sistema pilotato da remoto, appunto un drone, nel caso specifico “suicida”, segnando una nuova dimensione dello scontro fra Israele e Iran, e al contempo comprovando un’aumentata capacità di intelligence iraniana. I droni kamikaze sarebbero stati, inoltre, supportati in volo da altri droni non armati e rilevati dalla società di intelligence privata per la sicurezza marittima Dryad Global poco prima dell’attacco. E da quanto si apprende, i droni kamikaze sarebbero ora un’arma piuttosto frequente nelle acque agitate attorno alla penisola arabica, dato che a poche ore dai fatti del Mercer Street, una nave mercantile saudita è stata colpita, sempre con droni, nelle acque del Mar Rosso: le responsabilità sono state fatte risalire ai ribelli houthi yemeniti, a loro volta sostenuti militarmente dall’Iran.

Comunque la si giri, le acque arabiche, dello stretto di Hormuz e più al largo verso l’Oceano Indiano, sono testimoni di una guerra ombra, ma efficace, che rischia di diventare sempre più calda se, come affermato da fonti di intelligence, l’Iran ha schierato il sistema di difesa aerea S-300 nei pressi della sua centrale nucleare di Busher, con dichiarazioni di minacce di rappresaglie agli Usa e persino al Regno Unito, se costoro decidessero un attacco di risposta ai fatti del Mercer Street. D’altronde, Israele ha affermato di conoscere il luogo di partenza dei droni responsabili di quell’attacco: che sia un porto o una nave da guerra, o entrambi, non si escludono possibili azioni di incursori od operazioni di commando contro l’unità iraniana responsabile. Al momento, Israele ha attivato i canali diplomatici per fornire al Consiglio di Sicurezza dell’Onu le prove del coinvolgimento di Teheran nei fatti del Mercer Street e la soluzione diplomatica è auspicata da più parti, anche da analisti israeliani.

Di fondo, e si sa, vi è il rinnovato interesse, soprattutto US ed europeo, all’accordo sul nucleare che, tuttavia, inquieta Israele e non sarebbe più nemmeno nelle corde iraniane. È come se Teheran fosse decisa a giocare tutte le sue carte per una posta in gioco più tradizionale, propria della geopolitica di allargamento della propria influenza, e che l’Occidente non considera così vitale ma che è invece di massima priorità, per realizzare il piano di Mezzaluna fertile dall’Iran al Mediterraneo: agguantare una volta per tutte il Libano. E potrebbe essere questa la priorità del neopresidente Raisi, per rinsaldare le fratture all’interno dell’establishment, per non perdere definitivamente il controllo dell’Iraq, ottenuto in anni di guerra a colpi di interventi di milizie sciite contro lo Stato Islamico ed, inoltre, per la stessa sopravvivenza della teocrazia sciita e dei suoi governanti. Ma, da quanto accaduto sino ad ora anche con la guerra ombra sui mari, è altresì elevare ulteriormente l’asticella delle tensioni lungo tutti i territori di quella regione e nelle acque circostanti, da quelle arabiche e oceaniche sino a quelle mediterranee. E ciò richiede forza, coraggio e determinazione. Oppure è solo disperazione.




Posted on: 2021/08/03, by :