Cop 26, su ambiente e clima l’impegno dev’essere quotidiano

di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |

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Spenti i riflettori sui grandi del mondo, sulla Cop 26, nessuno si illude che le indicazioni espresse trovino immediata attuazione, ma neanche siano dimenticate, fino al prossimo incontro. Ed allora occorre un lavoro quotidiano, costante e continuo, per elaborare soluzioni concrete, realizzabili e sostenibili.

Anziché tante parole, perché non cominciamo tutti a non più comperare i prodotti proveniente dai Paesi che inquinano (che poi sono anche quelli che sfruttano la mano d’opera infantile)? Ciò che decidono i cosiddetti grandi non troverà mai attuazione e cadrà tutto nell’oblio, se non accompagnato da una volontà popolare consolidata. Ed allora perché non invertire il problema e cominciare ad inquinare di meno, ognuno di noi nel nostro piccolo.

L’imperativo è ridurre le emissioni inquinanti

Di tanto in tanto, forse per il divertimento di farci sentire colpevoli, vengono pubblicate le statistiche di quanti prodotti alimentare sprechiamo o di quanta acqua di perde dalle nostre tubazioni, ma sicuramente il comportamento individuale può determinare l’evoluzione della società, più di quanto lo possono le contrapposizioni frontali. Di green economy se ne cominciò a parlare fin dai primi anni ’70 quale possibilità di attuare un modello economico attento e rispettoso dell’ambiente, cercando così di dare attuazione alla pressoché unanime concezione morale che impone il rispetto della natura in quanto massima espressione del creato. Fino ad oggi gli sforzi si sono concentrate proponendo soprattutto agevolazioni fiscali e contributi di varia natura a chi perseguiva azioni volte a realizzare attività meno inquinanti e ponendo l’accento su condizioni di vita maggiormente attente all’ambiente (chiedendo spazi verdi e aree pedonali nelle metropoli). Difficile contrastare questo principio, quasi quanto attuarlo, però…

Il fulcro delle politiche ecologiche dovrà invece concentrarsi sulla capacità di ridurre le emissioni inquinanti: di qui il concetto di economia circolare, in contrapposizione al tradizionale concetto di economia lineare che si limitava a prendere una materia prima e trasformarla in un prodotto finito da immettere sul mercato (tipico delle catene di montaggio), senza occuparsi del suo smaltimento. L’economia verde si è concentrata inizialmente nel porre un freno alle attività inquinanti delle imprese nel momento della produzione (attività già iniziata a Londra, nell’800, allorché l’aria si era resa pressoché irrespirabile… il famoso fumo di Londra) e nel non utilizzare prodotti altamente inquinanti (prime norme sui prodotti tossico nocivi deleteri per la nostra salute).

La rappresentazione grafica della molla

Il concetto del “circolare” aggiunge un nuovo requisito, quello che il prodotto non “finisce” con il suo consumo, ma “deve” essere ripreso e riutilizzato per altri utilizzi: le stesse del prodotto originario (esempio la raccolta differenziata del vetro) oppure generando prodotti diversi (concimi dai rifiuti organici o mattonelle da alcuni scarti della plastica o le cinghie e le borse ricavate dai copertoni delle biciclette, tanto per proporre alcuni esempi pratici). L’economia circolare green, in un’ottica di progettazione rigenerativa, è quella che:
1) Non inquina al momento della produzione
2) I suoi prodotti non contengono prodotti nocivi potenzialmente dannosi per la salute dell’uomo
3) Una volta terminato il loro utilizzo, possono/devono essere utilizzati in altre produzioni riducendo/annullando il problema dello smaltimento dei rifiuti
chiudendo così il ciclo economico e rendendo pienamente sostenibile quel tipo di produzione con la conservazione dell’ambiente (“dalla culla alla culla” ossia “Cradle to Cradle”), offrendo una risposta alla fine dell’era del petrolio e delle altre risorse a buon mercato e della sempre più accentuata carenza di materie prime.

L’economia circolare green rappresentabile come una molla che avvitandosi su se stessa riporta sempre a nuovo i prodotti disponibili, evitando di richiederne dei nuovi, non interessa solo più un soggetto (la ditta produttrice o il comune che realizza l’area pedonale), ma potenzialmente coinvolge tutta la società, in quanto sono diversi i soggetti coinvolti, a cominciare dal singolo cittadino chiamato alla raccolta differenziata, per coinvolgere tutti i soggetti che beneficiano dell’esistenza di un determinato prodotto (chi consuma deve porsi il problema degli effetti del suo consumo). Il modello economico basato sul riutilizzo circolare è quello che meglio si adatta al concetto di sostenibilità, in quanto adotta principi e criteri non solo volti alla riduzione degli sprechi, dei rifiuti, dell’inquinamento e dello sfruttamento delle materie prime, ma nel considerare i medesimi come nuove materie prime (con la trasformazione di sostanze precedentemente sprecate, in merce redditizia).

Dall’economia verde all’economia blu

Il concetto si amplia ulteriormente con la cosiddetta “economia blu” (dal colore degli oceani) che si propone di realizzare un modello di business, attraverso un ecosistema sostenibile a livello planetario. Se l’obbiettivo dell’economia verde era la rapida riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO2) quella blu persegue un’emissione pari a 0, cercando di raggiungerla, non attraverso l’aumento di investimenti nella tutela dell’ambiente, ma utilizzando le innovazioni in tutti i settori dell’economia che adoperano sostanze già presenti in natura, creando più posti di lavoro per un loro corretto utilizzo. I principi base dell’economia circolare si possono così riassumere:
A) Fermare la morte prematura della materia (obsolescenza programmata, ossia utilizzare un prodotto il più a lungo possibile)
B) Eliminare lo spreco nell’uso del prodotto anche condividendone l’utilizzo con altri consumatori (non più il possesso di un oggetto ma un uso consapevole: Product-as-a-service)
C) Riutilizzare la materia scartata come fonte di materia prima, fino al punto di ipotizzare un “UPCYCLE”, dove lo scarto assume un valore superiore a quello realizzato dal prodotto nella vita precedente.

Più che una scelta economica, la soluzione ecologica è una questione di sopravvivenza: le scienze economico-sociali hanno solo il compito di renderle sostenibili anche alle nostre possibilità di tollerare l’inquinamento ambientale e alimentare. E per raggiungere questo risultato non bastano le più o meno stringenti conclusioni raggiunte nel G20 o al COP26 ma dalla responsabilità che individui e popolazioni sapranno far propri.




Posted on: 2021/11/05, by :