Nei luoghi storici del confine orientale: il pozzo di Basovizza e le foibe/4

di Marco Travaglini|

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Basovizza è una delle frazioni di Trieste. Si trova a nordest del capoluogo, sull’altopiano del Carso. È lì che si trova il monumento nazionale alle foibe. In realtà non si tratta di una foiba vera e propria, ma di un pozzo minerario in disuso, scavato all’inizio del ventesimo secolo per intercettare una vena di carbone e presto abbandonato per la sua improduttività. Quel luogo, nel maggio 1945, fu teatro di esecuzioni di civili e militari italiani, arrestati dalle truppe jugoslave d’occupazione. In gran parte le vittime vennero gettate dentro le foibe, voragini naturali disseminate sull’altipiano del Carso triestino e in Istria. Il pozzo di Basovizza è diventato un luogo simbolo, al fianco del quale sorge un centro di documentazione.

Nel 1992 il presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro lo dichiarò monumento nazionale a testimonianza e ricordo di tutte le vittime degli eccidi del 1943 e del 1945. Un dramma, quello delle foibe, che va inserito nel lungo periodo della storia giuliana che parte dal violento “fascismo di confine” e si snoda attraverso gli avvenimenti della guerra in Jugoslavia e nella Venezia Giulia, fino alla creazione del Territorio Libero di Trieste. Nel 1943 e dopo la fine della guerra, tra il maggio e il giugno 1945, migliaia di italiani della Venezia Giulia, dell’Istria e della Dalmazia vennero uccisi dall’esercito jugoslavo del maresciallo Tito e molti di loro furono infoibati negli anfratti naturali disseminati sull’altipiano del Carso triestino e in Istria, trasformandoli in grandi fosse comuni.

Le stragi colpirono gli oppositori all’annessione delle terre contese alla nuova Jugoslavia: collaborazionisti e militi fascisti, membri dei comitati di liberazione nazionale, partigiani combattenti, comunisti contrari alle cessioni territoriali e cittadini comuni. Il dramma della popolazione italiana nelle regioni orientali proseguì oltre la fine della guerra fino alla stipula del trattato di pace di Parigi, siglato il 10 febbraio 1947. La loro sorte venne decisa dalle potenze alleate che avevano vinto la guerra. Decisero l’annessione alla Jugoslavia di città come Fiume e Zara, di tutta l’Istria e delle isole della Dalmazia. Tutti i beni dei cittadini italiani di quelle regioni vennero confiscati.

Quel trattato diede origine a un esodo forzato degli italiani da quelle regioni, abbandonando praticamente tutto ciò che avevano. Una tragedia per circa 300mila profughi che, a differenza dei migranti che partono alla ricerca di un futuro migliore e con la prospettiva di tornare, videro negata questa speranza. A decine di migliaia si dispersero in 109 campi profughi sparsi per l’Italia mentre altri emigrarono in mezzo mondo. L’Italia riprese il controllo amministrativo di Trieste soltanto il 26 ottobre 1954, quando la “città dei venti” cessò di essere territorio internazionale (amministrata dalla comunità internazionale e dalla Iugoslavia) e tornò a far parte dell’Italia. Il trattato di Osimo, siglato il 10 novembre 1975, sancì lo stato di fatto di separazione territoriale venutosi a creare nel Territorio Libero di Trieste a seguito del Memorandum di Londra (1954), rendendo definitive le frontiere fra l’Italia e l’allora Jugoslavia, oggi Slovenia.

Quarta puntata (continua)

I precedenti articoli

Nei luoghi storici del confine orientale: Trieste in https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/02/model_-trava-1.pdf
Nei luoghi storici del confine orientale: la Risiera di San Sabba in https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/03/model_-trava.pdf
Nei luoghi storici del confine orientale: l’Adriatisches Küstenlande in https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/03/model_-trava-3.pdf




Posted on: 2022/03/20, by :