Gioventù in equilibrio precario tra libertà e regole

di Emanuele Davide Ruffino
e Chiara Laura Riccardo|

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È trascorso più di un mese dalla manifestazione degli studenti del Liceo di Righi. I giovani avevano preso posizione contro un apprezzamento (per l’abbigliamento) di una professoressa nei confronti di un’allieva. Apprezzamento ritenuto diffamatorio. Più di un mese ci pare un tempo sufficiente per ritornare con accenti meditativi sulla questione che ripropone quel delicato crinale su cui corrono in parallelo la libertà individuale e doveri nel rispetto della convivenza civile.

Prima del mondo sconvolto dalla guerra, il problema alla ribalta dei media italiani era quello relativo a come una ragazza del liceo si possa vestire e se il compito degli insegnanti ed educatori sia anche quello indirizzare a comportamenti consoni all’ambiente in cui si vive. Certamente quello che più ha colpito e colpisce di fronte a questi fatti è il rifiuto totale ad accettare qualsiasi regola, come se una persona possa agire senza considerare il rispetto che si deve portare a chi sta nelle vicinanze.

Refrattari a comportamenti definiti

Dove finisce la libertà di espressione e dove inizia l’arroganza dell’individuo di imporre un suo comportamento indipendentemente dalle esigenze altrui? La vicenda del Liceo “Righi” di Roma è solo una delle tante che, negli ultimi anni, hanno movimentato gli animi degli studenti: quando i docenti rimproverano gli alunni per il loro abbigliamento a scuola (dalla minigonna e pancia scoperta per le ragazze ai pantaloncini corti per i ragazzi) si attiva, in quei giorni, in mancanza di altre notizie, l’attenzione mediatica sul caso e le immagini delle relative manifestazioni conseguenti giungono ai telegiornali e “agitano” l’opinione pubblica.

Per noi italiani non rispettare le regole fa parte del nostro patrimonio culturale: lo Stato era l’oppressore straniero (spagnolo, austriaco, francese) e quindi il ribellarsi nella scia del romanticismo fissato dal Foscolo, ha sempre rappresentato un qualche cosa di patriottico e di romantico. Il modo di vestirsi ha rappresentato un modo di ribellarsi negli anni 60 ma, prima ancora, il Re di Danimarca, Cristiano X, si appose la stella di David gialla in segno di solidarietà verso gli ebrei e presto fu imitato da tanti suoi concittadini. Ma questo atteggiamento nel 1939 comportava ben altri rischi che non un rimbrotto di un insegnante.

L’indole ribelle

Il nostro mondo non ha più regole ed allora si inventano presunte restrizioni, per il piacere di ribellarsi. Probabilmente si esaspera la provocazione solo perché qualcuno sottolinei l’indecenza. Il problema non è solo l’abbigliamento, ma richiamare la libertà di movimento per giustificare gli schiamazzi notturni, la tutela della privacy se fermati dalle forze dell’ordine quando si bevuto un bicchiere di troppo, per non parlare della tremenda dittatura sanitaria imposta dal personale che applica i protocolli scientificamente validati.

Tutto ciò però, di fronte all’avanzare del pericolo di una guerra su scala mondiale, assume ancor più un carattere di superficialità e decadenza che obbliga tutti a rivedere il concetto di convivenza civile. Se vogliamo vivere in una società dobbiamo dotarci di norme comportamentali condivise e rispettate, prima ancore che di leggi.

Negli anni della formazione scolastica, il bisogno di affermare la propria personalità ancora immatura, si accompagna ad una richiesta implicita di guida, orientamento e rassicurazione da parte degli adulti, siano essi insegnanti o genitori. La via più semplice però spesso porta ad un “vuoto di potere”, con mancanza di riferimenti validi.

Ed è qui allora che la “formazione” e l’educazione al rispetto per gli altri, nella consapevolezza che l’abbigliamento non è, e non sarà mai, un linguaggio neutro, in quanto parla di noi, esprime il nostro io e ci rappresenta, assume un ruolo chiave affinché venga superata l’immagine dei giovani “adolescenti per sempre”. In quest’ottica si spiegano gli appelli al diritto alla salute (coprirsi troppo quando fa caldo può provocare danni alla salute) e alla dichiarazione universale dei diritti umani e alla libertà dei costumi. Atteggiamenti che, con lo scoppio della guerra sono apparsi ancor più vacui e pretestuosi.

Convivenza sociale

Le basi di una convivenza sociale, non s’improvvisano, ma richiedono una costante opera di adattamento: rilanciare la capacità di vivere in gruppo (quale elemento base dell’organizzazione umana), superando gli isterismi individuali e ricercando il massimo ritorno in termini di armonia sociale, oltre che individuale, è il compito da assolvere se non si vuole cadere nella spirale della recessione culturale e della decadenza.

Negli anni, vari ambiti delle scienze sociali, come la psicologia sociale, l’antropologia e anche l’economia, si sono interessate alla teoria del cosiddetto “social brain” (il cervello sociale) che si propone di spiegare il comportamento sociale in base allo sviluppo di aree del cervello specializzate per il riconoscimento e la comprensione degli stati mentali altrui, sviluppando interessanti studi sulle implicazioni delle neuroscienze nella socialità.

Il nostro “essere”, ed “esserci”, all’interno di un contesto sociale richiede competenze per inferire sugli stati mentali delle altre persone, valutare correttamente specifiche situazioni in cui le regole di convivenza sociale vengano infrante, e predire correttamente quali conseguenze ciò possa indurre, nonché valutare la moralità o immoralità di una determinata azione, in una specifica situazione sociale.

In qualche modo, dunque, è possibile affermare che non esiste una “mente sociale” senza un “cervello sociale” ed il futuro della convivenza sociale e civile dovrà certamente basarsi sulla capacità d’individuare principi di comportamento volti a definire azioni moralmente ineccepibili che devono essere assunte soprattutto da chi ricopre un ruolo di responsabilità. Il sistema giuridico è a sua volta chiamato a predisporre norme per introdurre principi di trasparenza e di efficienza nel definire i rapporti sociali, ma se questi non risultano condivisi ed applicati dalla stragrande maggioranza degli attori, si rischia una pericolosa dissociazione tra aspettative e realtà.

Adulti e modelli comportamentali

Osservando numero, durata, coinvolgimento di più soggetti e altri parametri quantitativi identificanti le cause giudiziarie, rispetto a quelle rilevate nel passato, occorre interrogarsi se, i fatti illeciti, sicuramente da iscrivere alla disonestà di alcune persone, non rappresentino anche una patologia del “sistema” che dovrebbe interrogarsi su cosa può predisporre, di maggiormente incisivo, per limitarne le possibilità. Il problema è particolarmente avvertito in ambito pubblico, dove chi ordina la spesa, chi sostiene i costi, chi produce e chi fruisce dei servizi, sono soggetti diversi che, tra loro, possono adottare comportamenti opportunistici che nell’emergenza (pandemica o militare) accresce ulteriormente. Il non attenersi alle regole è sicuramente un segno di libertà, ma quando questo risulta essere fine a se stesso, senza una visione sociale. si rischia solo di immobilizzare il sistema.

E se i cambiamenti si generano “dal basso” (button up), la scuola non può che essere in prima linea nel processo di formazione, anche sociale, di quella che sarà la futura generazione, preparandola alla vita adulta, fatta di rapporti di lavoro, relazioni sociali, regole, obblighi e anche diritti da difendere. Il filosofo Jacques Maritain, in alcuni suoi scritti, ha affermato che, con l’epoca moderna, l’umanità è entrata nella sua fase adolescenziale e le varie crisi sociali che si susseguono portano, soprattutto i giovani, a dover fare i conti con la crisi delle proprie illusioni e a dover scegliere fra il diventare adulti o il regredire.

Perché gli adolescenti, nel loro contrapporsi per crescere, nelle loro manifestazioni di ribellione fisiologica, alla conquista dell’autonomia, si aspettano di essere educati, guidati e ripresi, se necessario. Non se lo dimentichino gli adulti e soprattutto i giovani genitori, molti dei quali purtroppo ancora ancorati ad un modello identificatorio proprio dell’adolescenza.




Posted on: 2022/03/22, by :