Separazione delle carriere: “Voterei sì, ma voterò no”

di Mauro Nebiolo Vietti|

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Dedico questo intervento al tema della separazione delle carriere tra magistrati giudicanti ed inquirenti, oggetto di un referendum della prossima domenica. Ma prima di iniziare, devo superare un blocco psicologico che mi aggredisce ogni volta che penso alle prossime votazioni referendarie (l’elenco dei referendum in https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/06/docs_model-copia-2-1.pdf).

Se dovessi scegliere preferirei il leader ungherese Orban, che parteggia per il russo Putin e imbavaglia la magistratura ed ha di fatto abolito la libertà di stampa, a quella strampalata forza politica italiana che vuole sia abolito il divieto di partecipare ad assemblee elettive per chi è stato condannato per alcuni reati, con particolare riferimento a quelli commessi contro la pubblica amministrazione. Deve evidentemente essere un partito che straripa di condannati, andando in difficoltà nell’individuare i futuri candidati se il referendum (il numero 1 per l’esattezza) non avesse successo.

Sono curioso di sapere cosa diranno gli italiani chiamati ad esprimersi, perché non si tratta di un confronto tra posizioni diverse, ma di un male oscuro che pare non aver trovato finora la corretta cura oncologica. Bene! Detto questo, mi sento più a mio agio nell’affrontare un serio quesito referendario che impone una qualche riflessione.

In tema di divisione delle carriere in magistratura (referendum numero 3), voterei “sì” perché sono convinto che un Pubblico ministero che indaga, quando passerà a funzioni giudicanti, avrà perso quella serenità di giudizio che induce il magistrato a controllare che siano state rispettate tutte le garanzie procedurali a favore dell’imputato. Immagino un PM, dopo anni di indagini finalizzate a dimostrare l’accusa, che, quando assume le funzioni del giudicante, patisce o minimizza quelle garanzie che hanno permesso a chi ha subito un’accusa ingiusta, di essere assolto.

Tutto ciò non sminuisce l’importanza della funzione del PM, ma costituisce dato pacifico che la costruzione dell’impianto accusatorio non offre garanzie di solidità se non va al vaglio dell’organo giudicante, ma quando si è vissuto professionalmente in un’attività dedicata a sostenere accuse, che in sede giudicante sono riconosciute fondate nel 60 per cento dei casi, è assolutamente umano che il magistrato passato alla funzione di giudicante, non sia psicologicamente disponibile a smantellare, quando è necessario, l’impianto accusatorio degli ex colleghi. Malgrado ciò, voterò “no” perché, se il nostro ordinamento traccerà una linea di demarcazione tra la funzione inquirente e quella giudicante, si configurerà un primo passo per offrire un boccone prelibato alla politica.

Una carriera riservata ai PM significa, prima o poi, una configurazione autonoma della categoria. Ma una magistratura inquirente che svolge autonomamente le indagini non convince in uno stato ove un Parlamento è riuscito ad personam ad impedire un normale processo, accorciando da un lato la prescrizione ed introducendo dall’altro il legittimo impedimento per l’imputato che, se raffreddato, matura il diritto a chiedere un rinvio.

Può darsi che sia una preoccupazione inutile, ma se in una logica di controllo il potere esecutivo decidesse di riportare l’ufficio del PM sotto governo, l’obiettivo sarebbe sicuramente più semplice da raggiungere se le carriere fossero differenziate. In conclusione temo un ex PM come garante dei ruoli di accusa e difesa, ma temo ancor di più la fantasia distorta di un politico che non riesce a capire perché anche lui debba essere soggetto al controllo delle leggi.

In buona sostanza voterei SI, ma voterò NO.




Posted on: 2022/06/07, by :