Effetti conosciuti e non da Coronavirus

di Giuseppina Viberti
e Germana Zollesi |

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Ieri, 3 luglio, i nuovi casi da Coronavirus sono stati 72.917 (4.339 in Piemonte) con 57 decessi (1 in Piemonte). La diffusione del virus è in netta ascesa, con un incremento medio degli ultimi sette giorni che non si registrava dal febbraio scorso. Secondo virologi e epidemiologi la curva è destinata a raggiungere l’acme alla fine del mese. I bollettini giornalieri confermano dunque la necessità di mantenere – come anticipato da La Porta di Vetro (“Da Covid 19 a Omicron 5: la guardia resti alta” in https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/06/docs_vz.pdf) le doverose prescrizioni per contenere la diffusione del virus, i cui effetti negativi sull’organismo – ed è l’elemento centrale da analizzare per la salute pubblica, senza provocare allarmismi – continuano a essere molteplici e altrettanto pericolosi, anche se l’argomento è scomparso dalle prime pagine dei giornali e dall’informazione più in generale…

Come tutti gli eventi traumatici anche la Covid lascia i suoi postumi tant’è che se inizialmente si parlava di long covid in pazienti che hanno mantenuto sintomi più o meno a lungo o che hanno manifestato un periodo di recupero particolarmente prolungato (anche tre mesi), oggi si parla apertamente di patologie da post-covid, termine con cui si identifica una serie di condizioni/sintomi tra loro molto poliedrici di severità e concomitanze molto diverse tra loro. Se in alcuni casi si può trattare di suggestione (condizione comunque da non trascurare), in altri casi i problemi sono più compositi e vanno studiati con attenzione, anche perché gli ultimi dati confermano che la lotta alla Covid sarà ancora lunga e bisogna studiare il fenomeno sotto ogni profilo.

Cronicizzazioni e comorbidità

Le sindromi riconducibili al post Covid sono state definite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, come quell’insieme di conseguenze che si manifestano nel lungo termine riscontrate in chi ha contratto l’infezione da Coronavirus, anche in forme leggere. Secondo il Centers for Disease Control and Prevention, (l’Agenzia nazionale per il protezione della salute negli Usa) quasi il 35% dei pazienti ha riscontrato di non essere perfettamente tornato al precedente stato di salute. I sintomi vanno individuati, trattati e monitorati, al fine di non aggravare ulteriormente le condizioni di salute di milioni di persone, scongiurando in particolare l’insorgenza di cronicizzazioni o comorbidità. I danni organici che può lasciare la SARS-CoV-2 possono compromettere polmoni, cuore, cervello e reni, a causa di risposte infiammatorie, microangiopatie trombotiche, tromboembolia venosa e carenza di ossigeno, anche in soggetti giovani.

Sono diversi i casi di persone che, considerate guarite, hanno manifestato problemi di salute. Veri e propri strascichi del Covid difficili da mandare via. Tecnicamente il long Covid è la continuazione della sindrome virale che può debilitare il soggetto nei due o tre mesi successivi al contagio o dopo la negativizzazione. Per post Covid si intende la manifestazione di sintomi dopo il completo superamento della patologia. In entrambi i casi non si rileva una correlazione con l’intensità degli stessi durante la malattia: anche chi ha avuto una forma lieve di Covid-19 può sviluppare problemi a lungo termine (ammesso che due anni non possano ancora essere considerati un lungo periodo).

L’importante è l’individuazione tempestiva di eventuali effetti a lungo termine per evitare ulteriori complicazioni o il cronicizzare dei disturbi permanenti, anche quando il virus non è più presente nell’organismo. Dai primi studi risulta una riduzione dell’interferone, o una sua difficoltà a rigeneralo, nei soggetti colpiti dal covid e ciò può generare conseguenze anche serie nei soggetti più deboli.

Alla ricerca dei sintomi

Le rilevazioni epidemiologiche, in particolare quelle condotte dal NHS inglese, rilevano come si passa da pazienti asintomatici durante la fase di positività, a pazienti che hanno vissuto l’infezione con sintomi, ma per il momento tutti sono potenzialmente a rischio. Se si considera che la variante Omicron può non essere avvertita dai soggetti asintomatici gli effetti del post-covid possono risultare particolarmente difficili da diagnosticare. Infatti i disturbi, così come per tutte le altre malattie virali che possono manifestare conseguenze anche rilevanti nel tempo, sono abbastanza generici ed estremamente variabili:

• Sensazione continua di stanchezza
• Acufeni e dolori all’orecchio
• Alterazioni dell’olfatto o del gusto
• Alterazioni ciclo mestruale
• Ansia, depressione e stress e altri sintomi neurofisologici
• Difficoltà nel prendere sonno e insonnia
• Dolori diffusi in più parti del corpo (vie respiratorie, dolori muscolari-articolari, toracico addominale, gastrointestinali, fomicolii)
• Febbre, respiro corto, tosse continua, congestione e vertigini
• Nausea e perdita di appetito e di percezione del gusto
• Mal di testa associato a sintomi cognitivi (stati confusionali)
• Palpitazione e battito irregolare

Dall’analisi si possono individuare una serie di sintomi aspecifici difficilmente catalogabili che spaziano da reazioni psicologiche a dolori specifici per la cui sistematizzazione occorrerà ancora molto tempo. La vastità dei sintomi elencati non permette infatti d’identificare con chiarezza quali possono essere ricondotti specificatamente al Coronavirus e quindi, per il momento bisogna affidarsi alle rilevazioni statistiche epidemiologiche, ma queste sono condizionate dal comportamento della popolazione che segnala in modo irrazionale non solo i sintomi ma anche la presenza di possibili positività.

A ciò si aggiunge che questi sintomi si manifestano in soggetti in cui il Coronavirus non è più presente all’interno dell’organismo (tampone negativo) e ciò rende particolarmente importante stabilire le connessioni che potranno essere definite solo con la rilevazione di big data affidabili e la collaborazione (senza allarmismi) di tutti gli operatori. Questa situazione ci deve convincere dell’importanza dello scambio di informazioni a livello mondiale, dell’utilizzo intelligente dell’informatica e della trasversalità della scienza che, per produrre dati utili nella pratica clinica quotidiana, avrà bisogno di competenze interconnesse (medici, statistici, informatici, infermieri, tecnici, epidemiologici, economisti, sociologi, politici, chiamati a muoversi in sincronia) che dovranno superare le barriere culturali che purtroppo ancora esistono e rendono difficile la crescita culturale delle persone.




Posted on: 2022/07/04, by :