Lumellogno, il paese “non italiano” per la sua rivolta ai fascisti

di Marco Travaglini|

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“Nobile esempio di spirito di sacrificio e di elevate virtù civiche”. Quindici anni fa, il 3 aprile del 2007, l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conferì alla città di Novara la medaglia d’oro al Merito Civile, riconoscendo alla popolazione di una sua frazione un ruolo decisivo in un episodio storico avvenuto cent’anni fa. La motivazione della Presidenza della Repubblica, in estrema sintesi, ricordò così i fatti accaduti il 15 e 16 luglio del 1922: “La popolazione di Lumellogno, “Frazione Rossa” del Comune di Novara, animata da profondi ideali di libertà e di democrazia, si rese protagonista di un eroico episodio di resistenza ad un raid punitivo di fascisti, sopportando la perdita di alcuni dei suoi figli migliori.

Il merito del risarcimento storico alla frazione della città del riso va, innanzitutto, alla memoria storica di Lumellogno, Carlo Migliavacca, che con tenacia e passione ha raccolto, nel tempo, le testimonianze, i racconti e le immagini fotografiche di quell’epoca, realizzando il libro “Lumellogno 15-16 luglio 1922 – Paese non italiano” e collaborando nel 2009 con il regista novarese Vanni Vallino al docufilm “Novara millenovecentoventidue”, tratto dalle sue ricerche.

La memoria storica: da Migliavacca a Bigliani

Tra le testimonianze raccolte una delle più rilevanti fu quella di Gaudenzio Bigliani (1903-1992) che, a soli 19 anni, guidò la rivolta di Lumellogno, ricordato con l’intitolazione di una via nella frazione a sud-ovest di Novara. La popolazione, partecipando allo sciopero generale di protesta e opponendosi alle angherie del regime che soffocavano le organizzazioni democratiche, rispose alle violenze degli squadristi che intendevano piegarne la resistenza “con tridenti e badili contro le rivoltelle”.

Raccontò Bigliani come “uomini, donne e anche ragazzi” si ribellarono contro gli squadristi provenienti dalla Lomellina e da Novara. “Tutta la popolazione, compreso anziani, partecipò alla battaglia che infuriò per più di mezz’ora lungo tutta la strada provinciale che attraversa il paese; con armi da fuoco i fascisti, con forche, vanghe e bastoni la popolazione”. Il giorno seguente la battaglia, continua Bigliani, sull’attuale piazza dei Martiri a Novara (allora piazza Vittorio Emanuele II), Cesare Maria De Vecchi, conte di Val Cismon, uno dei primi “ras” del fascismo e futuro quadrunviro, se non la vera “mente” della Marcia su Roma, pronunciò un violento discorso vincolando i fascisti presenti al giuramento a mettere Lumellogno “a ferro e fuoco” qualora non fossero rientrati in sede le camicie nere ancora disperse nella campagna dopo i violenti scontri; una minaccia che non venne mai eseguita.

Gli scontri dal 9 al 23 luglio 1922

In quella torrida estate, nei quindici giorni tra il 9 e il 23 luglio, Novara e tutto il suo circondario tentarono di ribellarsi al nascente fascismo. Quelle due settimane di scontri si lasciarono alle spalle un bilancio di morti e feriti, distruzioni e violenze con oltre cinquanta sedi di associazioni operaie e contadine distrutte, decine di Comuni amministrati dalle sinistre assaltati dalle squadracce, numerose case di privati date alle fiamme, otto morti e venticinque feriti tra gli antifascisti, tre morti e quindici feriti tra le camicie nere.

Episodio centrale della rivolta fu proprio la “battaglia di Lumellogno” del 16 luglio nella quale, come ricorda Carlo Migliavacca “l’aggressione fascista provocò lutti e dolore nonostante la resistenza di contadini e operai ebbe la meglio, scacciando gli assalitori”. Durante gli scontri persero la vita Giovanni Merlotti, Angelo De Giorgi e Pietro Castelli; altri tre braccianti – Gaudenzio Mazzetta, Giuseppe Galli e Carlo Cardani – morirono in seguito alle ferite riportate. Tra i fascisti ci fu una sola vittima: Luigi De Michelis.

Meno di un mese dopo, il 13 agosto, vennero arrestate con l’imputazione di omicidio nove persone: Giuseppe Baldini, Gaudenzio Bigliani, Luigi Panza, Giuseppe Simonetta,Maria Saini, Giovanna Esterina Ferrara, Luigia Martinengo, Rosa Mazzetta e Giuseppina Stangalini. Furono in seguito rilasciati per insufficienza di prove, tranne Luigi Panza e lo stesso Gaudenzio Bigliani che, dopo due mesi di carcere, vennero prosciolti in istruttoria per “non provata verità”.

Coraggiosi e mai domi

La popolazione di Lumellogno rimase orgogliosamente ostile al regime tant’è che tre anni dopo, nel 1925, nonostante Mussolini fosse saldamente al potere venne devastata e bruciata la sede delle camicie nere, un episodio in più che fece guadagnare alla gente della frazione novarese un titolo non propriamente lusinghiero, almeno dal punto di vista delle gerarchie fasciste: “Lumellogno, paese non italiano”.

La velenosa ingiuria, paragonabile a un marchio d’infamia, venne utilizzata in occasione della mostra dedicata alla “rivoluzione fascista” che si tenne al Palazzo delle Esposizioni a Roma nel 1932, una sorta di negazione del suolo patrio per vendicarsi dello scacco subito dagli sgherri di Benito Mussolini. Per certi versi una sorta di riconoscimento per i “resistenti” del paese circondato dalle risaie.




Posted on: 2022/07/17, by :