La notte dell’Italia repubblicana

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Lo spettacolo offerto nel pomeriggio da Palazzo Madama, emiciclo dei senatori, trascende i destini del signor banchiere Mario Draghi. I primi ad esserne consapevoli sono gli italiani che hanno seguito il dibattito con gli interventi dei capigruppo dei partiti. Si discuteva la fiducia a Draghi e l’eventuale prosieguo del suo governo. Ma fin dalle prime battute, è stato chiaro dalle posizioni di Lega, di Forza Italia, del Movimento Cinque stelle, partiti di governo, e dell’opposizione di Fratelli d’Italia, che il Parlamento si era trasformato in una passerella pre-elettorale, con annessa piattaforma programmatica dei punti qualificanti in vista dell’appuntamento alle urne.

La notte dell’Italia si è così consumata tristemente con l’ennesima occasione perduta dai partiti populisti e personali, inclini a guardare gli interessi di bottega, quelli spiccioli, che mai hanno dimostrato di poter risolvere le emergenze (endemiche) del nostro Paese. Emergenze, peraltro, che non ha risolto neppure Draghi in quindici mesi di governo.

Ma non poteva essere altrimenti con l’attuale legislatura, la peggiore della storia repubblicana. Per essere chiari, la legislatura dell’uno vale uno: la famosa locuzione declinata sull’invenzione di sconosciuti Presidenti del consiglio, di ministri e di sottosegretari chiamati a fare apprendistato politico – il che ha già un che di eversivo – in un Paese di 60 milioni di cittadini che rimane ancora una potenza industriale, con una opposizione appaltata a una signora di nome Giorgia Meloni a capo di Fratelli d’Italia, che oggi esalta le democrazie occidentali nel chiedere il voto anticipato, mentre nel quotidiano si industria da anni minarne la credibilità con le sue prese di posizione di populismo urlato che di democratico hanno davvero poco.

Chiunque dotato di buon senso avrebbe scommesso che l’esperienza sarebbe terminata in uno stadio di confusione generalizzata, da cui oggi si crede di poter uscire con il voto, lo stesso da cui gli italiani hanno dimostrato di tenersi alla larga. Un altro controsenso. Del resto, siamo in crisi insieme al mondo che brucia, che ha cancellato la parola pace per dare spazio alle armi, rinunciando alla volontà di affidarsi a legami costruttivi che derivano dalla mediazione, dalla diplomazia, dall’uso ponderato e misurato delle parole, dal disarmo dell’odio per favorire la vicinanza, anche a costo di concedere qualcosa in prima battuta, che ritornerà però utile credito al momento di chiederne la restituzione. Come è sempre accaduto nella storia dell’umanità e degli Stati.

Siamo in crisi. Eppure, per quanto sono decenni che sentiamo pronunciare la parola crisi, a torto o a ragione, oggi sentiamo che c’è qualcosa di più profondo che va al di là delle apparenze. C’è da rabbrividire.




Posted on: 2022/07/20, by :