La “mordacchia” russa ai media

di Renato Caputo|

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In Russia, negli ultimi 6 mesi, sono state presentate quasi 145 mila denunce al “Servizio federale per la supervisione delle comunicazioni, della tecnologia dell’informazione e dei mass” conosciuto con la sigla Roskomnadzor o RKN. Il 25,5% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Di queste: 19.067 sono state presentate in forma scritta, 101 in forma orale e ben 125.667 in formato elettronico. Questo dato è esibito con orgoglio sul sito ufficiale di RKN.

L’agenzia di controllo voluta dal Cremlino

Roskomnadzor è un’agenzia federale russa istituita da Putin il 12 maggio 2008, posta sotto il controllo del Ministero dello sviluppo digitale, delle comunicazioni e dei mass media, che si occupa di “monitorare” e “controllare” l’accesso ai mass media in Russia.

L’agenzia è divenuta famosa anche in Occidente nel 2016 per aver disposto il blocco del social network LinkedIn che si era rifiutato di trasferire il proprio archivio contenente i dati personali dei cittadini russi su server in territorio russo1. Il tribunale moscovita ha respinto l’appello della corporation sulla sentenza dell’agosto 2016.

Nel marzo 2017 è stato confermato che non si era raggiunto un accordo tra le parti2. LinkedIn è stata dunque la prima compagnia straniera a rimanere vittima della legge federale entrata in vigore nel 2015. Fortemente voluta dal Cremlino per dare un giro di vite allo scambio di informazioni e notizie sul web. In base a tale norma per le compagnie di internet straniere è diventato obbligatorio conservare i dati personali degli utenti russi in server situati all’interno del Paese.

Il governo russo ha affermato che i dati personali stanno diventando sempre più una delle merci più preziose del pianeta e che questa politica serve a proteggere la privacy online delle sue persone, ma gli esperti di tutto il mondo insistono sul fatto che sia piuttosto uno stratagemma della Russia per costringere le aziende, in particolare quelle internazionali, a fornire informazioni private sugli utenti.

Da Stalin a Putin: la delazione è normalità

Sicuramente Putin ha fortemente voluto la norma liberticida del 2015 al fine di rafforzare l’azione di controllo messa in atto quotidianamente dagli apparti di sicurezza nei confronti della popolazione russa, ma il fatto che un numero così elevato di “normali cittadini” si sia rivolto a Roskomnadzor per permettere azioni di censura è una cosa su cui riflettere.

Diceva lo scrittore e giornalista Sergey Dovlatov3, parlando delle cosiddette “purghe staliniane”: “Rimproveriamo incessantemente il compagno Stalin e, naturalmente, per una giusta causa. Eppure, voglio chiedere: chi ha scritto i quattro milioni di denunce?” Purtroppo, è triste constatare che, almeno su questo versante, non cambia nulla in Russia.

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1“Mosca blocca l’accesso a LinkedIn”, in Il Sole 24 Ore, 10 novembre 2016;https://st.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-11-10/mosca-blocca-l-accesso-linkedin-170908.shtml?refresh_ce=1
2“LinkedIn fails to agree with Russia on restoring access to site”, in Reuters, 7 marzo 2017;https://www.reuters.com/article/us-linkedin-russia-ban-idUSKBN16E20Q
3Sergej Donatovič Dovlatov (in russo Серге́й Дона́тович Довла́тов) era uno scrittore e giornalista nato nella città russa di Ufa il 3 settembre 1941 e morto a New York il 24 agosto 1990). Nel 1978 emigrò prima a Vienna e poi, nel 1979, negli Stati Uniti, a New York. Qui collaborò a “Novyj amerikanec/The New American” (Новый американец), un giornale di emigrati in lingua russa, di ispirazione liberal.




Posted on: 2022/08/28, by :