A dieci anni dalla morte del cardinale Martini: la fecondità del suo pensiero

di Luca Rolandi|

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Sono trascorsi dieci anni da quel 31 agosto 2012, giorno della morte del cardinale Carlo Maria Martini. Uomo di dialogo, prete, gesuita, teologo, vescovo e cardinale, Carlo Maria Martini è stato un gigante nella storia della chiesa del suo tempo come lo fu il cardinale Borromeo sempre nella chiesa ambrosiana. Ma le radici di Martini sono torinesi, nel cuore della città in cui era nato il 15 febbraio del 1927 e in cui aveva compiuto primi studi. Una città divisa tra sacro e profano, pensiero sociale cattolico e dimensione laica e illuminista della vita.

Un riferimento, un grande riferimento. Lo è stato, anzitutto, per i cattolici ed i cristiani, ma anche per tanti, tantissimi laici, per credenti di altre religioni, per uomini e donne di ogni età, lingua e Paese. È stato un grande gesuita ed il suo Spirito uno dei più grandi della Societatis Iesu. Ignaziano, certo, ma diremmo pure squisitamente paolino perché – come già per San Paolo – quella del dialogo con i “gentili” è stata per lui una vera vocazione, una esigenza imprescindibile, come quella dell’agire sociale e politico, sempre per i poveri.

La sua vita di studioso e di servizio alla chiesa e al mondo è stato un segno fortissimo di una presenza nella storia della fede e della scommessa cristiana dentro la modernità. Come ricorda padre Giacomo Costa suo allievo gesuita su Aggiornamenti sociali “a decenni di distanza dalla sua morte la vita, la testimonianze e le parole del cardinale Martini continuano a essere pubblicate e a suscitare l’interesse di vecchi e nuovi lettori. Interpellano anche il nostro tempo, o meglio ci prospettano delle piste per interpretarlo”.

La radice di questa fecondità non risiede in una perenne attualità del loro contenuto: sono ben radicate nel contesto in cui sono state concepite, di cui abbiamo bisogno di tempo per ricostruire le coordinate, che si tratti del mondo ancora diviso in blocchi contrapposti o nelle prime fasi della globalizzazione, dell’Italia della Prima Repubblica o degli anni del terrorismo, di una società assai meno diversificata e multiculturale della nostra, o di un contesto ecclesiale segnato dalle tensioni del postconcilio, e dal dialogo necessario e imprescindibile in campo ecumenico, interreligioso e con il pensiero laico e non credente.

Parlava delle difficoltà della Chiesa e della sua arretratezza, ma consapevole che il mistero del messaggio evangelico di Gesù Cristo figlio di Dio morto e risorto per la salvezza dell’umanità era ed è un orizzonte complesso da testimoniare in una società plurale e fortemente secolarizzata.

La sua voce manca. Restano i suoi pensieri, i suoi libri, le sue riflessioni, che come sempre sono la base sulla quale meditare e ripartire.




Posted on: 2022/08/31, by :