Le sfide del nuovo decennio per contrastare le patologie croniche

di Fausto Fantò|

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Alcuni anni fa Paul E. Plsek, noto studioso dell’innovazione nella sanità, e Trisha Greenhalgh, medico e professore alla Queen Mary University of London, scrivevano del loro mondo: “è cambiato il quadro epidemiologico e la tipologia dei malati: da un sistema sanitario costruito nei secoli per la lotta alle malattie infettive, basato sull’identificazione, eliminazione o controllo dell’agente eziologico, si è passati ad una realtà nella quale sono le malattie croniche a prevalere, che non riconoscono uno specifico e singolo agente causale, alla cui patogenesi concorrono numerosi fattori…

Queste affermazioni, vissute come certezze acquisite ed inconfutabili dagli operatori sanitari e dai gestori della sanità, danno l’impressione di essere crollate e messe in discussione dallo scoppio della pandemia ad opera di un organismo invisibile all’occhio umano, capace di sconvolgere e paralizzare le strutture sanitarie di tutti i paesi colpiti, compresi i paesi con sistemi sanitari avanzati, compreso nostro. In questi mesi tutti gli sforzi sono stati indirizzati all’assistenza dei pazienti affetti da COVID-19, stravolgendo completamente l’attività degli ospedali e dell’assistenza territoriale. Nessuno vuole sottovalutare la tragedia che si è abbattuta, nessuno può dimenticare le immagini delle terapie intensive stracolme e dei pazienti ammassati nei corridoi delle corsie degli ospedali, come nessuno può dimenticare le immagini dei camion militari che trasportavano i cadaveri in province lontane per essere cremati. Sono immagini che rimarranno nella nostra mente e che difficilmente riusciremo a dimenticare.

Nelle ultime settimane i malati affetti da COVID-19 stanno sensibilmente diminuendo e i reparti dedicati si stanno svuotando, piano piano le porte degli ospedali e degli ambulatori medici si stanno riaprendo ai malati cronici o in attesa di interventi chirurgici o terapie salva-vite che in questi mesi sono stati “abbandonati”. In questi giorni si sente parlare da più parti di aumentare i posti delle rianimazione, creare ospedali monospecialistici per ospitare pazienti con malattie infettive, o mega-strutture in caso di ripresa dell’attività del virus. A questo punto è il caso di porci qualche domanda:

1) Dobbiamo ritornare ai vecchi “sanatori” per paura di nuove epidemie?
2) Come riorganizzare il nostro SSN?
3) Quale tipologia di malati ci troveremo ad affrontare nei prossimi decenni?

All’emotività ed alla paura giustificata di questi mesi dobbiamo contrapporre la forza della realtà e dei numeri. Il fenomeno più importante, che ha caratterizzato negli ultimi 50-60 anni i paesi del mondo, compresi quelli a più basso reddito, è l’invecchiamento della popolazione. L’aumento esponenziale della popolazione anziana e soprattutto dei grandi vecchi (old-oldest) ha determinato una trasformazione senza precedenti della struttura demografica.

L’invecchiamento della popolazione ha comportato un incremento di soggetti affetti da patologie croniche che richiedono interventi sanitari per periodi lunghi, spesso per tutto il resto della vita (l’OMS definisce malattia cronica: “problemi di salute che richiedono un trattamento continuo durante un periodo di tempo da anni a decadi”. Si stima che le malattie croniche rappresentano l’80% di tutte le patologie nel mondo e che il 70-80% delle risorse sanitarie sia speso per la loro gestione. In Europa malattie come il diabete, la demenza, il Parkinson, lo scompenso cardiaco, l’ipertensione arteriosa, la depressione, la BPCO, l’obesità colpiscono l’80% delle persone con età superiore a 65 anni e spesso queste malattie si presentano contemporaneamente nello stesso individuo (pluripatologia o polipatologia).

In Italia, paese tra i più vecchi al mondo, attualmente, ci sono 25 milioni di malati che presentano almeno una patologia cronica; 8 milioni risultano affetti da 3 o più malattie croniche e di questi oltre 7 milioni presentano una grave patologia spesso causa di disabilità. Le donne, che vivono 5 anni più degli uomini, sono più colpite e presentano una prevalenza di malattie croniche doppie rispetto agli uomini. Le patologie che prevalgono nel sesso femminile sono l’artrosi e l’artrite, l’osteoporosi, l’ipertensione arteriosa, malattie che, presentano un basso rischio di mortalità, ma un più alto tasso di disabilità e di perdita di autonomia. Condizione necessaria per migliorare la qualità di vita di un soggetto affetto da patologie croniche è, in primis, disporre di una rete di servizi integrati e coordinati.

I pazienti cronici diventano sempre “meno autonomi” nell’espletamento delle abituali attività quotidiane e progressivamente vedono sempre più compromesse e a rischio le proprie condizioni di vita. La perdita della propria autonomia e la necessità di dipendere dagli “altri” anche per attività elementari della vita quotidiana incide profondamente sulla qualità di vita del paziente ma anche su chi si prende cura. Il sistema ospedale-centrico che si è sviluppato nei decenni precedenti e che ha assorbito la maggioranza delle risorse destinate alla sanità non è più in grado di rispondere alle esigenze ed ai bisogni di questi nuovi pazienti. Il Coronavirus, infatti, ha messo a nudo i limiti del nostro sistema sanitario basato sulla centralità dell’ospedale (i limiti si sono visti soprattutto in quelle regioni, per esempio la Lombardia, dove si è investito sugli ospedali e sulla sanità privata, smantellando la medicina del territorio) e nei prossimi anni-decenni si dovrà puntare su una medicina più vicina ai cittadini, coinvolgendo e responsabilizzando maggiormente i medici di medicina generale (MMG) e la medicina territoriale.

Abbiamo visto tutti in questi giorni, che la risposta “ospedaliera” si è dimostrata perdente e che l’intervento, anche nel caso di una ripresa dell’epidemia, deve essere rivolta ad un intervento capillare sul territorio e non, a mio avviso, costruendo megastrutture. È ora che il Piani Nazionale della Cronicità (PNC) approvato il 15 settembre 2016 e il Piano Nazionale Demenze (PND) approvato il 30 ottobre 2014, entrambi recepiti dalla nostra Regione, vengano ripresi e realizzate fornendo le giuste risorse, se si vuole fare fronte alla nuove sfide che la cronicità, con il suo carico di disabilità, sofferenza e dolore, comporta; non dobbiamo dimenticare che le malattie croniche sono responsabili dell’86% di tutti i decessi. La battaglia si vince con una medicina del territorio efficace ed efficiente, in grado di intercettare e rispondere ai bisogni della tipologia di pazienti e di nuove sfide, come l’attuale epidemia di COVID-19 insegna.




Posted on: 2020/06/09, by :