“Storia della sanità”, capitolo VIII:
Mesopotamia, la scissione tra religione e medicina

di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |

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L’esperienza babilonese evidenziò, in particolare, il dualismo del male fisico e del male simbolico sviluppando due medicine parallele, una indirizzata alle patologie fisiologiche, l’altra rivolta al soprannaturale che accompagnava ogni esperienza di sventura dell’uomo.



La concettualizzazione del dolore tra il Tigri e l’Eufrate

La bizzarria e l’imprevedibilità con cui le forze del male possono assalire l’uomo portarono all’elaborazione di procedure e di manifestazioni che, tramite l’intercessione di un esorcista potessero raggiungere la fonte del male stesso. Studi empirici permisero di elaborare poi alcune terapie per gli effetti sintomatologici delle malattie basate sulla preparazione e la successiva somministrazione dei primi “rimedi”. Si trattava di rimedi realizzati con sostanze naturali, di cui si era intuita l’efficacia terapeutica e il conseguente effetto di rallentamento o annullamento dell’azione provocata dal morbo.
In alcuni casi più che di intuizioni terapeutiche si trattava di idee un po’ bislacche come l’inserire tra gli ingredienti lo sterco di cane allo scopo di scacciare, disgustandoli, i demoni! Ovviamente la medicina empirica era sempre esistita, ma in Mesopotania gli viene riconosciuto il rango di scienza, al pari di quella magico-religiosa. Tale sviluppo portò anche a differenziare i professionisti che si interessavano alla materia:
– Il divinatore (baru), abile nell’ispezione del fegato di animali sacrificati e in altre pratiche magiche da cui trarre conclusioni soprattutto diagnostico-prognostiche;
– Il sacerdote (âshipu), che praticava incantesimi ed esorcismi a scopo guaritorio;
– Il medico (àsu), che somministrava farmaci e praticava la chirurgia.

Il codice normativo dell’imperatore Hammurabi

Nel XVIII Sec. a.C. Hammurabi codificava su una stele di basalto nero (ritrovata nel 1912) un codice normativo sulle applicazioni mediche e sul comportamento dei medici: la prima legge di sanità pubblica, nonché la prima traccia documentata di pratiche chirurgiche. La codificazione dei problemi portò anche a stabilire gli onorari per le prestazioni rese ed, essendo Hammurabi, non poteva non prevedere le pene in caso di danno procurato.
Normalmente tali pene erano pecuniarie, ma era anche prevista l’amputazione della mano in caso di morte o di lesioni gravi arrecate al paziente. È da queste esperienze che nascono i primi concetti di medicina legale codificati nel “Codice di Ur-nammu” dove si riconosce la possibilità di risarcimento per i danni subiti da una persona in conseguenza di errori medici, differenziando per organo e per persona: il taglio non necessario di un piede veniva risarcito con 10 sicli (84 Kg) d’argento; se operando, si distruggeva l’occhio dell’uomo, la pena era il taglio delle dita (art. 218). In compenso, i medici potevano richiedere adeguate parcelle per il loro operare: per ridurre un osso rotto o curare i suoi intestini malati, la tariffa era di 5 sicli d’argento (art. 221).
Lo stesso codice di Hammurabi, nell’affermare “nel caso che il paziente perda un occhio per responsabilità di un medico, quest’ultimo potrebbe essere soggetto alla perdita di una mano”, anticipava la problematica anche se in toni un po’ decisi, relativi al fatto che una prestazione sanitaria ha un valore solo se è di qualità. Per il medico babilonese la qualità era ciò che gli permetteva di salvare le sue mani. Decisamente meglio andava al suo contemporaneo collega cinese che era pagato dai suoi “clienti” solo, quando questi godevano di buona salute: i versamenti ai medici venivano, infatti, sospesi al manifestarsi di una malattia.

Una pratica intramontabile: l’interpretazione dei sogni

In quest’ipotesi si registra, anche sotto un profilo economico, un collegamento tra il risultato o, più correttamente, l’impatto che l’azione dell’operatore sanitario ha sulle condizioni del paziente. Meglio era dedicarsi all’interpretazione dei sogni. Infatti, in Mesopotamia trionfò inoltre l’arte mantica d’interpretazione dei sogni (sebbene, in caso d’errore nell’interpretazione, incombeva qualche rischio…). A distanza di millenni la problematica si ripresenta con accresciuta forza sia per il più ampio livello di conoscenze acquisito dalla civiltà occidentale, sia per il ruolo centrale che ha assunto la sanità all’interno di una società.
In molti hanno tentato di formulare una definizione di qualità che riuscisse ad esprimere compiutamente l’importanza che la qualità riveste nel settore sanitario e a definire il valore monetario di una vita, ma evidentemente il problema non è né di natura economica, né di natura medica, ma risiede nell’etica e prima ancora nei principi filosofici che governano una collettività.
Per capire l’importanza degli assiro-babilonesi è sufficiente ricordare come mille delle trentamila tavolette incise in caratteri cuneiformi ritrovati a Ninive, appartenenti alla biblioteca dell’ultimo re assiro Assurpanibal, o Sardanapalo (668 – 631 a.C.), riguardano tematiche mediche, e riproducono le prime conoscenze sugli elementi di diagnosi e prognosi di molte malattie, con i relativi rimedi e le modalità con cui devono essere preparati. In particolare un testo dal titolo “Il trattato della diagnosi medica e della prognosi” individua con precisione la tubercolosi, malattia caratterizzata da “tosse continua, con escreato… spesso ematico”.

La “laicizzazione” della classe medica

Da queste tavolette emerge la capacità e l’acume di osservare la patologia in quanto tale e solo dopo l’osservazione si formulano ipotesi curative, sulla cui base applicare i rimedi empirici: la pratica medica iniziava così una graduale separazione dalla religione. Parallelamente il ruolo del medico cominciava ad acquisire una propria individualità sancita anche dal Codice di Hammurabi, che, regolando il tariffario delle prestazioni, afferma il principio della responsabilità professionale.
Tecnicamente il Codice di Hammurabi è soprattutto un testo di medicina legale o di biodiritto ma per molto vi sono elementi tali da poterlo definire il primo documento di etica medica, per la sua attenzione ai possibili rapporti medico-paziente.
Certamente il codice ha rappresentato un fondamentale passaggio verso la strutturazione della medicina come corpus di conoscenze e un’embrionale “laicizzazione” del medico, nel senso che la sua attività è in qualche misura slegata dallo status sacerdotale. A dire il vero, il Codice di Hammurabi riconduce la figura del medico a quella di “un sacerdote che doveva scacciare l’uno o l’altro dei sette demoni delle malattie”, ma l’introduzione apportata dal Codice nella storia della sanità è fondamentale.




Posted on: 2020/07/13, by :