La politica sanitaria in Italia. Parte nona

di Gian Paolo Zanetta|

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Nel 2017, il Censis scriveva che permaneva e si rafforzava sotto la spinta dell’incertezza, la consapevolezza dell’importanza della salute tra i bisogni dei cittadini. Una consapevolezza, osservava il Censis, in una accezione tuttavia diversa, che richiedeva, a fronte dell’avanzamento dell’età della popolazione e delle malattie croniche, una forte integrazione socio-sanitaria, cui corrispondevano purtroppo scelte pubbliche indirizzate un consistente contenimento delle risorse.
Per l’istituto di ricerca socio-economica, infatti, le democrazie europee erano [sono] sempre più condizionate dal debito pubblico, dal controllo della spesa, dalla giusta allocazione delle risorse e questo ha comportato, nell’ultimo periodo, una progressiva e rapida revisione delle politiche di welfare. Nello specifico si sottolineava inoltre che:
Oggi il modello Beveridge, soprattutto nel concetto tradizionale di ritenere sufficiente la contribuzione fiscale dei singoli per il finanziamento dei servizi, non è più sostenibile e lo Stato deve reinventare un nuovo contratto sociale con i propri cittadini, che veda non più soltanto lo Stato come finanziatore dei servizi, pena il default delle proprie finanze, del sistema di vita consolidato, e conseguentemente della propria economia, ma che veda un diverso e più attivo ruolo, anche culturale, di crescita e di impegno, delle comunità, dei corpi intermedi e dei cittadini nel pensare e costruire il futuro sistema sociale. La malattia dei costi e del debito pubblico crescente, che oggi attanaglia tutte le grandi democrazie occidentali, soprattutto quelle europee, deve essere affrontata e risolta, ma vi è il rischio che a pagare sia il cittadino, se si assiste passivi di fronte ad un arretramento dello Stato sociale, accettando inevitabilmente una progressiva scomparsa della stagione del benessere, delle tutele garantite a tutti, dei diritti acquisiti dai cittadini nel settore del welfare.

Nella tenaglia dell’evoluzione demografica

Già nel lontanissimo 19 settembre 1999, su “La Repubblica” con un articolo dal titolo “La bomba del Welfare”, il prof. Rudi Dornbusch prevedeva che “La combinazione di tendenze demografiche sfavorevoli e di cattive politiche di welfare ha prodotto una bomba ad orologeria che è indispensabile disinnescare ora: quando sarà prossima a scoppiare, sarà troppo tardi”.
Oggi quella profezia sembra avere anticipato la realtà. Diventa quindi, a nostro parere, importante cercare di comprendere il processo evolutivo del sistema di welfare, cosa è cambiato in un sistema che sembrava indistruttibile, per cercare di prefigurare costruire e governare, senza irragionevoli pulsioni sovraniste, il modello di società verso il quale, costretti dalle contingenze finanziarie, dall’immigrazione, dalle trasformazioni economiche, ma soprattutto dall’evoluzione demografica, stiamo traghettando. Quanto sia fondamentale l’esame dell’evoluzione demografica è reso plasticamente dal dato già riportato: in Italia, su 60 milioni di cittadini, la popolazione da 0 a 30 anni è pari a 17.868.947 abitanti, quella da 60 a 100 anni è poco meno, 17.422.186 abitanti.

Gli interventi di Bruxelles devono cambiare di segno

La consapevolezza della difficoltà di gestione dell’attuale quadro politico ed economico sta però facendo presa, così come sta facendosi largo la convinzione che la stagione di crisi non può essere affrontata solo con strategie di interventi drastici sui bilanci pubblici. Le stesse battaglie sui dazi stanno dimostrando che occorrono politiche di respiro diverso, dirette allo sviluppo ed alla creazione di lavoro, in stretta connessione con politiche pubbliche di formazione e cultural investiment . Non è più consolidata a livello mondiale, come nel decennio scorso, la convinzione che dal momento di crisi si possa uscire solo attraverso un drastico intervento di risanamento dei conti pubblici e un riposizionamento dei bilanci statali in pareggio, ma stanno ritornando, in alcuni Stati, nuove strategie politiche non sempre tra loro in sintonia, mirate al protezionismo o a scelte espansive, a carico del bilancio statale, con la finalità di stimolare la crescita.
L’Unione europea, un tempo ferma nel richiedere il rispetto del pareggio di bilancio per gli Stati membri ed il rientro dal debito pubblico eccessivo, oggi, dopo una tornata elettorale europea che sembra aver contenuto il pericolo populista, deve acquisire la consapevolezza che lavoro e nuove politiche più sensibili al sociale devono diventare il banco di prova di una Europa che voglia garantire un futuro equo ed equilibrato per i propri cittadini. Soprattutto dopo la tremenda pandemia che ci ha investito. È sulla coesione sociale e su un welfare che protegga i cittadini e superi gli squilibri,che costruiremo il futuro




Posted on: 2020/08/03, by :