La solitudine di Francesco: “Fratelli tutti” L’Enciclica in tempo di lotte e di scandali

di Luca Rolandi |

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Sembra lontanissimo quel 13 marzo 2013 quando Jorge Mario Bergoglio si affacciò al mondo dal Palazzo apostolico dicendo “buonasera” e chiedendo di ricevere dal popolo di Dio la benedizione. Era stato appena eletto Papa con il nome Francesco, come il santo di Assisi. Dopo sette anni e mezzo, intensi, pieni di gioie e di dolori, il Papa è solo. Ha innescato processi, come aveva annunciato e come continua a predicare con il suo magistero moderno e profondamente radicato nella tradizione apostolica ed evangelica, ma è consapevole che i semi gettati daranno frutti quando lui non ci sarà più. Infatti, dal 2013 ad oggi il mondo e profondamente cambiato: guerre, crisi, globalizzazione, economia, emergenza ambientale indifferibile pena l’autodistruzione del pianeta fino alla pandemia. Eppure, il Papa venuto dalla fine del mondo è rimasto sui suoi passi, unico nel mondo a predicare e progettare futuro, quasi in un ruolo di supplenza della politica internazionale e nazionale, sottomessa a logiche di potere e paurosa di affrontare quel cambio di epoca evocato proprio da lui evocato.

In un recente saggio di uno dei vaticanisti più preparati e coraggiosi Marco Politi, si descrive la solitudine di Bergoglio scoppiata nei giorni del caso “Becciu”, nel confronto-scontro con gli Stati Uniti di Donald Trump, in cui spiccano gli attacchi frontali e diretti del segretario di Stato Mike Pompeo, soprattutto per i fondamentali, ma molti insidiosi rapporti diplomatici e accordi con la Cina comunista da parte della diplomazia vaticana. Il pontificato si trova in una situazione drammatica. Dietro il sipario del grande consenso, di cui gode papa Bergoglio a livello mondiale anche tra seguaci di altre religioni e molti non credenti, è in corso all’interno della Chiesa cattolica una guerra civile tra chi vuole le riforme e chi si oppone duramente. Ma anche nell’arena politica internazionale ci sono forze economiche e politiche, che non vedono l’ora che esca di scena un pontefice, che ai loro occhi appare troppo impegnato sui temi della giustizia sociale e di un’economia attenta ai problemi ambientali. Il tutto, mentre le “due” Europa, orientale e occidentale, vedono affermarsi movimenti sovranisti e populisti.

Del resto, gli avversari di Francesco sono sempre più numerosi e in crescita; forse è finita la fase propulsiva del Pontificato, come descrive in un approfondito articolo su il Foglio1 Matteo Matzuzzi, in cui addirittura si parla di tramonto di un papato. In realtà, sono tanti nodi irrisolti a cominciare dal tempus fugit, che proietta nel mondo il processo lentissimo, se non biblico, dell’aggiornamento della Chiesa nelle sue istituzioni temporali. Un processo comunque estraneo al messaggio di salvezza e amore che il Vangelo descrive con la misteriosa presenza di Dio nella storia. Il lento procedere delle riforme acuisce – tra le prime conseguenze – le difficoltà con i tradizionalisti e fondamentalisti di varie latitudini sui temi etici e soprattutto sui temi sociali dalla eutanasia e omosessualità, alla famiglia, al ruolo della donna nella chiesa e al celibato dei preti). Tra i tradizionalisti svetta così un movimento non compatto, ma agguerrito, che in ordine sparso accusa il Papa di diluire la dottrina cattolica e cristiana in un sociologismo, in una visione troppo umana e poco spirituale, il messaggio di Gesù Cristo. Ma è proprio in questo senso che la coerenza del Papa gesuita mette in difficoltà i suoi avversari paladini delle certezze contro le inquietudini, la visione rigida e poco inclusiva dell’umanità salvata rispetto al dubbio vero e necessario che porta ad una fede sofferta, ma liberata, adulta e mai appagata.

Nel giorno di San Francesco, proprio ad Assisi davanti alla tomba del poverello, uscirà la nuova Enciclica, in cui la fraternità è la cifra dell’umanità in cammino, il tempo della prova per Bergoglio sembra non avere fine. Senza fine è lo scandalo delle finanze e dei beni vaticani, descritto in modo completo dal giornalista Francesco Peloso su l’Internazionale, con le complicazioni di cardinali, monsignori e prelati che si mescolano con faccendieri e intrecci familiari, su cui Francesco vuole porre la parola fine per trasmettere il suo messaggio forte: la chiesa cambia per non perire nella sua neo mondanità. Certo non è semplice e neppure facile essere il successore di Pietro e il vicario sulla terra di Cristo e contemporaneamente un riferimento per i popoli oppressi che non hanno più fiducia in nessun politico o ideale, così come complesso e faticoso dare spazio a tutti, laici e presbiteri, religiosi, fedeli, lontani, esponenti di altre religioni, atei e indifferenti una parola di conforto e speranza.

La Santa Sede è anche uno Stato, ha una diplomazia, un corpo istituzionale, che è profondamente mutato nel tempo ma sempre influentissimo nella contemporaneità. È fondamento di verità e fedeltà quel richiamo che Bergoglio rivolge ai fedeli dopo ogni celebrazione, incontro, udienza “pregate per me”. Dio lo sorregge, ma ha bisogno delle preghiere e dei pensieri di tutti. Francesco resiste, ma è solo. La chiesa e il suo popolo sono smarriti e forse oggi faticano più di quel 13 marzo 2013 a comprenderne la profezia.



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