Alla scoperta dei siti contaminati in Italia
1. La messa a fuoco della realtà
di Pietro Comba,
Daniela Marsili
e Roberto Pasetto |
Se si ricerca su internet “siti contaminati in Italia” ciò che più balza all’occhio è il numero delle persone a rischio nel nostro Paese: oltre 6 milioni di persone. Un numero che è pari al 10 per cento della popolazione residente. Una percentuale dunque da far tremare i polsi, che incute timore, desta preoccupazione e solleva la più diretta e ovvia delle domande: che cosa si è fatto e si continua a fare per la bonifica e la salute delle persone. L’eterno punto interrogativo per la nostra collettività che si ritrova a fare i conti con i rischi che incombono soprattutto su quei milioni di individui che vivono – come scrive l’Istituto superiore di Sanità – nelle aree dei 45 (su 58) siti più contaminati d’Italia. Ed è proprio grazie ai ricercatori Daniela Marsili e Roberto Pasetto dell’Istituto superiore di Sanità insieme al suo già direttore del Reparto di Epidemiologia ambientale e sociale, Pietro Comba, che la Porta di Vetro affronta questo importante tema. Sarà un viaggio in sei puntate che racconterà gli studi, le iniziative, gli strumenti e i progetti messi in campo per ridurre i rischi per la salute di chi vive e lavora in Italia.
Il Centro Ambiente e Salute della Regione Europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito operativamente i siti contaminati come quelle aree “che ospitano o hanno ospitato attività antropiche che hanno prodotto o potrebbero produrre contaminazione ambientale di suolo, acque superficiali o di falda, aria, catena alimentare, in grado di determinare un impatto sulla salute” (WHO 2013). Secondo tale definizione, possono essere siti contaminati tanto aree inquinate da una singola sostanza chimica (o un gruppo simile di sostanze chimiche) a partire da una definita matrice ambientale (ad esempio la contaminazione industriale da sostanze perfluoroalchiliche –PFAS- nelle acque), quanto aree contaminate da complesse miscele di inquinanti in più matrici ambientali (ad esempio un’area industriale occupata da un petrolchimico che può presentare contaminate pressoché tutte le matrici ambientali con mix di inquinanti di varia natura).
Le finalità dello studio all’interno della sanità pubblica
Le principali conseguenze dell’inquinamento ambientale derivante dai siti contaminati riguardano le comunità residenti nelle loro prossimità. Questo contributo si propone anzitutto di esaminare le basi scientifiche e valutare, in termini di sanità pubblica, le conseguenze della presenza sul territorio di siti industriali, siti di smaltimento incontrollato di rifiuti pericolosi, e siti contaminati per cause naturali non antropiche, in particolare per motivi geologici. La prospettiva di promozione della sanità pubblica implica la necessità non solo di documentare in modo efficace i rischi ma di tradurre le evidenze acquisite in interventi. Tale prospettiva richiede il coinvolgimento delle comunità interessate e, quindi, lo sviluppo di processi comunicativi. Per questo motivo, nella seguente trattazione verranno presentati principi e prassi per favorire l’interazione con le popolazioni locali durante l’acquisizione delle evidenze e per la restituzione delle nuove conoscenze attraverso processi di comunicazione partecipati. Infine, verrà dato spazio alla tematica della ‘giustizia ambientale’ (Environmental Justice), poiché solitamente le comunità interessate da siti contaminati presentano diversi elementi di fragilità oltre ad essere potenzialmente esposte ad inquinanti ambientali e sono, quindi, ingiustamente sovraccaricate di condizioni rischiose per la salute.
Da Beppe Fenoglio a Primo Levi, la forza della scrittura contro i veleni ambientali
Preliminarmente alla trattazione dei siti contaminati con gli strumenti messi a punto dalla comunità scientifica, è interessante notare che i primi in Italia ad occuparsi dell’argomento non sono stati i tecnici, ma gli scrittori, in particolare i narratori. Beppe Fenoglio nel racconto “Un giorno di fuoco” parla in questi termini del fiume Bormida: “Hai visto Bormida? Ha l’acqua color del sangue raggrumato, perché porta via i rifiuti delle fabbriche di Cengio e sulle sue rive non cresce più un filo d’erba. Un’acqua più porca e avvelenata che ti mette il freddo nel midollo, specie a vederla di notte sotto la luna”. Il riconoscimento ufficiale della Val Bormida come area ad elevato rischio di crisi ambientale sarebbe avvenuto oltre vent’anni più tardi. Primo Levi nel 1941, subito dopo aver conseguito la laurea in chimica, lavorò per alcuni mesi alla cava di crisotilo di Balangero, con l’obiettivo di recuperare il nichel presente nei materiali di scarto della lavorazione dell’amianto. Nel racconto Nichel descrive il luogo in questi termini: “[…] in una collina tozza e brulla, tutta scheggioni e sterpi, si affondava una ciclopica voragine conica, un cratere artificiale del diametro di quattrocento metri. […] Era in tutto simile alle rappresentazioni schematiche dell’inferno, nelle tavole sinottiche della Divina Commedia. […] L’operazione procedeva in mezzo a un fracasso da apocalisse, in una nube di polvere che si vedeva fin dalla pianura”. L’attività della cava di Balangero proseguì fino al 1992, anno della proibizione dell’utilizzo dell’amianto in Italia. Il riconoscimento di Balangero come Sito di Interesse nazionale (SIN) per le bonifiche è del 1998.
La centralità del progetto SENTIERI nell’ultimo decennio
Nel frattempo l’attenzione al tema dell’ambiente veniva recepito a livello istituzionale. Nel 1986 fu istituito il Ministero dell’Ambiente, che mise a fuoco la nozione di “Aree ad elevato rischio di crisi ambientale”, che comprendeva una serie di territori in cui le attività produttive avevano determinato livelli di inquinamento potenzialmente dannosi per l’ambiente e per la salute umana. L’OMS fu incaricata di redigere il primo rapporto su Ambiente e Salute in Italia (Bertollini et al., 1997), che comprendeva un capitolo monografico sulla mortalità nelle Aree ad elevato rischio di crisi ambientale, realizzato in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), l’ENEA (Energia Nucleare Energie Alternative, oggi Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) ed altre istituzioni scientifiche italiane. Il documento analizzava la mortalità per causa specifica nei comuni che costituivano le aree in esame, evidenziando numerose criticità che richiedevano approfondimenti mirati. Seguì un periodo di approfondimento dei temi emersi e di affinamento metodologico, lavoro svolto in collaborazione da diverse istituzioni, in particolare il Centro Europeo Ambiente e Salute dell’OMS, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), l’Università La Sapienza di Roma e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che ne assunse il coordinamento (Cori et al. 2005; Bianchi e Comba, 2006; Comba et al., 2007). Grazie al supporto del Ministero della Salute, che nel 2006 introdusse il tema “Ambiente e Salute” nella Ricerca Finalizzata, definendone la natura di Programma Strategico, fu così possibile ideare e realizzare il Progetto SENTIERI, acronimo che sta per Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento, che fra il 2010 e il 2020 ha già prodotto cinque rapporti, ed è diventato un sistema permanente di sorveglianza epidemiologica. (continua)
Posted on: 2020/06/24, by : admin