Fermiamo la violenza nelle campagne del Foggiano: è una violenza su tutti noi.
di Menandro|
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“Foggia, sparano colpi di fucile da un fuoristrada contro dei migranti: trentenne maliano colpito al volto. È accaduto a Foggia, in località Borgo La Rocca. Un trentenne di Mali è stato ferito al volto mentre era in auto con un connazionale ed un ivoriano, portato in ospedale in codice rosso ma non rischia la vita.”
Questa è la notizia d’agenzia di ieri. Dietro, l’ennesima sordida storia di violenza contro i braccianti a Foggia, in Capitanata. Storie mai tramontate, sempre vive, da sembrare eterne, nonostante le denunce, l’indignazione, coraggiose inchieste giornalistiche, la presenza marcata delle forze dell’ordine e l’impegno dello Stato. Ma rimane la vergogna di episodi che sono diventati regola storica. Nell’Ottocento lo sfruttamento si riversava con spietatezza sui “cafoni”, sulla plebe meridionale; dagli anni Venti del Novecento i braccianti erano diventati invisibili sotto il tallone dei cosiddetti “mazzieri” che avevano imposto con la violenza della “doppietta” il fascismo nella campagne del Foggiano.
“Mazzieri” che lasciata la “doppietta” per il “doppiopetto” avrebbero poi occupato un posto in Parlamento per più generazioni, anche nell’istituzione repubblicana, quasi a mo’ di sfida sugli scranni di Montecitorio contro quel Giuseppe Di Vittorio, parlamentare e leader della Cgil, che in anni giovanili si era battuto contro la prepotenza e la violenza dei latifondisti nelle campagne della sua Cerignola, in provincia di Foggia. Negli anni Cinquanta e Sessanta, infatti, l’indegna “selezione del personale” attraverso il caporalato, avrebbe segnato le lotte politiche e sindacali, e l’intervento della Chiesa cattolica, sensibile nel contrasto allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Oggi, da decenni, gli ultimi della terra a lavorare la terra sono uomini di colore. Immigrati sfuggiti allo spettro delle guerre e della miseria per precipitare nell’inferno reale di un sistema feudale versione Terzo millennio: servi della gleba, costretti a piegare la schiena per paghe da fame, controllati da vigilantes che ricordano i film sulla schiavitù negli Stati Uniti, criminali o assoldati dalla criminalità organizzata con le Glock infilate nella cintura, che operano come uno Stato nello stato. Il loro “Stato”. Nella forma e nella sostanza uno Stato davvero con la esse maiuscola, perché l’altro esiste soltanto nelle situazioni di emergenza.
Il tutto per portare nelle vendite al dettaglio prodotti alimentari a prezzi stracciati, in un vortice concorrenziale che si piega alle regole del consumismo ad oltranza. È la realtà su cui cresce e s’impone la compressione del valore del lavoro e, per effetto transitivo, l’oscuramento della dignità dei lavoratori.
Posted on: 2021/04/27, by : admin
Questa è la notizia d’agenzia di ieri. Dietro, l’ennesima sordida storia di violenza contro i braccianti a Foggia, in Capitanata. Storie mai tramontate, sempre vive, da sembrare eterne, nonostante le denunce, l’indignazione, coraggiose inchieste giornalistiche, la presenza marcata delle forze dell’ordine e l’impegno dello Stato. Ma rimane la vergogna di episodi che sono diventati regola storica. Nell’Ottocento lo sfruttamento si riversava con spietatezza sui “cafoni”, sulla plebe meridionale; dagli anni Venti del Novecento i braccianti erano diventati invisibili sotto il tallone dei cosiddetti “mazzieri” che avevano imposto con la violenza della “doppietta” il fascismo nella campagne del Foggiano.
“Mazzieri” che lasciata la “doppietta” per il “doppiopetto” avrebbero poi occupato un posto in Parlamento per più generazioni, anche nell’istituzione repubblicana, quasi a mo’ di sfida sugli scranni di Montecitorio contro quel Giuseppe Di Vittorio, parlamentare e leader della Cgil, che in anni giovanili si era battuto contro la prepotenza e la violenza dei latifondisti nelle campagne della sua Cerignola, in provincia di Foggia. Negli anni Cinquanta e Sessanta, infatti, l’indegna “selezione del personale” attraverso il caporalato, avrebbe segnato le lotte politiche e sindacali, e l’intervento della Chiesa cattolica, sensibile nel contrasto allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Oggi, da decenni, gli ultimi della terra a lavorare la terra sono uomini di colore. Immigrati sfuggiti allo spettro delle guerre e della miseria per precipitare nell’inferno reale di un sistema feudale versione Terzo millennio: servi della gleba, costretti a piegare la schiena per paghe da fame, controllati da vigilantes che ricordano i film sulla schiavitù negli Stati Uniti, criminali o assoldati dalla criminalità organizzata con le Glock infilate nella cintura, che operano come uno Stato nello stato. Il loro “Stato”. Nella forma e nella sostanza uno Stato davvero con la esse maiuscola, perché l’altro esiste soltanto nelle situazioni di emergenza.
Il tutto per portare nelle vendite al dettaglio prodotti alimentari a prezzi stracciati, in un vortice concorrenziale che si piega alle regole del consumismo ad oltranza. È la realtà su cui cresce e s’impone la compressione del valore del lavoro e, per effetto transitivo, l’oscuramento della dignità dei lavoratori.
Posted on: 2021/04/27, by : admin