Combattere l’evasione fiscale? Proviamoci sul serio
di Anna Paschero|
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La proposta di Matteo Orfini (Pd) e Nicola Fratoianni (Leu) di una nuova imposta patrimoniale presentata con un emendamento alla legge di bilancio 2020 ha aperto un dibattito che non si cheta, neanche dopo la sua bocciatura presso la Commissione Bilancio. Se non altro, perché essa, facendo un calcolo molto elementare, rischia di trasformarsi in un ennesimo regalo ai più benestanti, sempre a discapito, ovviamente, della classe media, quella che continua a sostenere da sola il peso dello Stato.
Ma fermandoci solo alle manifeste intenzioni dei due politici senza voler fare il ragioniere di turno, il togliere ai ricchi per dare ai poveri resta un intento nobile, che merita attenzione ma sollecita, nello stesso tempo, alcune considerazioni sulla funzionalità del sistema fiscale italiano.
La prima riguarda i patrimoni immobiliari posseduti dagli italiani. Come si sa la loro entità è nota solo in parte, perché molti di essi non soltanto sono ben nascosti nei cosiddetti paradisi fiscali, ma anche intestati a società di comodo. Restano raggiungibili al fisco solo quelli regolarmente inseriti nella denuncia annuale dei redditi. La stessa considerazione riguarda i patrimoni finanziari che già oggi sono noti al fisco e i restanti beni mobili (auto, aerei, barche, etc.).
La proposta trascura del tutto il fatto che in Italia l’evasione fiscale è stimata in oltre cento miliardi di euro all’anno e anche se volessimo non tener conto della ricchezza che ha trovato rifugio fuori dal Paese, sarebbe lecito chiedersi se il valore della ricchezza dichiarata alla luce del sole è almeno congruo oppure no. È probabile che il sistema fiscale italiano non se lo sia mai chiesto, ma forse oggi, con qualche strumento in più di conoscenza sarebbe possibile fare una indagine in questo senso. I patrimoni si formano attraverso redditi, che generano risparmi, eredità, donazioni, e anche eccezionalmente, vincite. Ovvero, se un contribuente denuncia per un periodo abbastanza lungo – diciamo almeno venti anni – un reddito appena sufficiente per sostenersi, occorrerebbe chiedersi come fa a possedere un patrimonio immobiliare, mobiliare e finanziario di una certa entità, senza aver ricevuto in donazione o successione parte dei beni. Questa idea, trasformata in proposta da parte dell’ARDeP (Associazione per la riduzione del debito pubblico costituita nel 1993, www.ardep.it, è venuta in mente all’attuale suo vice presidente Cleto Iafrate, ed è stata in questi giorni oggetto di un comunicato in risposta alla proposta avanzata dai due parlamentari. Se la nuova patrimoniale colpisse, soltanto ed esclusivamente, i patrimoni che risultassero incongrui, senza porre nessun limite alla consistenza del patrimonio da colpire e senza eliminare altri prelievi esistenti, come il bollo sulla ricchezza finanziaria e sulle seconde case, si potrebbe fare un’operazione di giustizia chiedendo un risarcimento a chi, per molti anni è vissuto alle spalle di chi ha sempre regolarmente contribuito alle spese dello Stato. E sarebbe possibile in questo momento difficile fronteggiare la povertà e anche ridurre significativamente la crescita del debito pubblico nazionale.
Posted on: 2020/12/03, by : admin
La prima riguarda i patrimoni immobiliari posseduti dagli italiani. Come si sa la loro entità è nota solo in parte, perché molti di essi non soltanto sono ben nascosti nei cosiddetti paradisi fiscali, ma anche intestati a società di comodo. Restano raggiungibili al fisco solo quelli regolarmente inseriti nella denuncia annuale dei redditi. La stessa considerazione riguarda i patrimoni finanziari che già oggi sono noti al fisco e i restanti beni mobili (auto, aerei, barche, etc.).
La proposta trascura del tutto il fatto che in Italia l’evasione fiscale è stimata in oltre cento miliardi di euro all’anno e anche se volessimo non tener conto della ricchezza che ha trovato rifugio fuori dal Paese, sarebbe lecito chiedersi se il valore della ricchezza dichiarata alla luce del sole è almeno congruo oppure no. È probabile che il sistema fiscale italiano non se lo sia mai chiesto, ma forse oggi, con qualche strumento in più di conoscenza sarebbe possibile fare una indagine in questo senso. I patrimoni si formano attraverso redditi, che generano risparmi, eredità, donazioni, e anche eccezionalmente, vincite. Ovvero, se un contribuente denuncia per un periodo abbastanza lungo – diciamo almeno venti anni – un reddito appena sufficiente per sostenersi, occorrerebbe chiedersi come fa a possedere un patrimonio immobiliare, mobiliare e finanziario di una certa entità, senza aver ricevuto in donazione o successione parte dei beni. Questa idea, trasformata in proposta da parte dell’ARDeP (Associazione per la riduzione del debito pubblico costituita nel 1993, www.ardep.it, è venuta in mente all’attuale suo vice presidente Cleto Iafrate, ed è stata in questi giorni oggetto di un comunicato in risposta alla proposta avanzata dai due parlamentari. Se la nuova patrimoniale colpisse, soltanto ed esclusivamente, i patrimoni che risultassero incongrui, senza porre nessun limite alla consistenza del patrimonio da colpire e senza eliminare altri prelievi esistenti, come il bollo sulla ricchezza finanziaria e sulle seconde case, si potrebbe fare un’operazione di giustizia chiedendo un risarcimento a chi, per molti anni è vissuto alle spalle di chi ha sempre regolarmente contribuito alle spese dello Stato. E sarebbe possibile in questo momento difficile fronteggiare la povertà e anche ridurre significativamente la crescita del debito pubblico nazionale.
Posted on: 2020/12/03, by : admin