Covid-19, Alzheimer, fragilità diverse: “alleanza” letale contro gli anziani

di Fausto Fantò |

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Sono la moglie del sig… affetto da malattia di Alzheimer di grado medio .In questi giorni di isolamento la situazione di mio marito è peggiorata per quanto riguarda la memoria e l’orientamento, tanto da non poter essere lasciato solo neppure per pochi minuti, inoltre la camminata è sempre più lenta e strascicata e inciampa facilmente. Prima del lockdown ci siamo trasferiti a Bardonecchia. Qui rischiamo meno il contagio, però i controlli sono serrati. L’unica soluzione è uscire entrambe per fare la spesa ma nei negozi può entrare solo uno, cioè io, e mio marito deve aspettarmi fuori. Mi è capitato più volte di uscire dal negozio e non trovarlo, o perché si era allontanato per cercarmi, oppure perché era entrato nel supermercatino senza permesso, ecc., suscitando proteste e rimbrotti da parte del personale. Tutto ciò aumenta notevolmente per me lo stato di ansia e di stress, in cui già tutti siamo per la difficoltà del momento. Forse una sua dichiarazione che metta in evidenza la necessità di mio marito di camminare e di essere accompagnato, da esibire in caso di contestazione, potrebbe essermi di grande aiuto. Che ne pensa? E’ possibile averla? Segue firma…

Questa mail che ho riportato, è una delle tante che in questo periodo di totale chiusura, ho ricevuto, come tanti colleghi, e mi dà lo spunto per esprimere il mio concetto su un tema molto dibattuto in questi giorni relativo alla possibilità o necessità di prolungare il periodo di isolamento degli anziani, oltre la data della riapertura, prevista per il 4 maggio.

Nelle ultime settimane si è sviluppato un interessante ed appassionato dibattito nella comunità scientifica (medici, economisti, giuristi, ecc.) sulla possibilità che, finito il lockdown, gli anziani potessero continuare in un programma di restrizione e limitazioni differenziato rispetto alle altre fasce della popolazione. Il primo a sollevare con forza il problema, con un articolo comparso su La Stampa di Torino martedì 14 aprile, è stato il giurista, già magistrato, Vladimiro Zagrebelsky. Nel suo scritto Zagrebelsky, tra l’altro, afferma che “imporre a un gruppo di persone un comportamento prudente per se stesse… non è consono alla legge” e aggiunge che imporre “una discriminazione in base all’età in generale è vietata da Costituzione e norme europee (Valerio Onida presidente emerito della Corte Costituzionale).

Ma cosa si intende con il termine di anziano? L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) nella Conferenza mondiale del 1982 aveva definito anziano un soggetto che ha raggiunto o superato il 65° anno di età. Noi però sappiamo come l’età media e la composizione strutturale di questa fascia di popolazione sia cambiata enormemente negli ultimi 40-50 anni. In particolare, abbiamo assistito ad un aumento esponenziale del numero degli anziani, ma percentualmente più alto è stato l’aumento degli ultra 80/85 enni, i grandi vecchi.

In Italia sono attualmente 13 milioni gli anziani (più del 22% della popolazione totale) e la maggior parte vive in discrete condizioni di salute, ma contemporaneamente stiamo assistendo negli ultimi decenni, ad un aumento esponenziale di una nuova categoria di malati: i pazienti fragili. Il fragile è un soggetto di età avanzata o molto avanzata, affetto da molte patologie croniche (in genere 4-5 o più) clinicamente instabile, cioè facilmente scompensabile, frequentemente disabile o ad alto rischio di disabilità.

Quindi oggi quando parliamo di anziani ci riferiamo ad vero e proprio pianeta in quanto, si va dall’anziano cosiddetto robusto (quanti soggetti ultra settantenni oggi continuano a portare avanti attività con buon successo in qualsiasi campo dalla moda alla scienza, dalla cultura alla politica, ecc.), all’anziano fragile, incapace di svolgere le attività più semplici della vita quotidiana e che richiede frequenti e continui interventi sanitari.

Come si evince, parlare di restrizione o “segregazione” dell’anziano tout court è fuorviante. Mettere un limite di età per lasciare in casa gli anziani è scientificamente e moralmente scorretto, oltre che disumano. Indubbiamente è interesse di tutti preservare e tutelare gli anziani, ma se un settantacinquenne è in buone condizioni di salute, ha gli stessi diritti di un cinquantenne a poter riprendere, con le dovute precauzioni e protezioni, le normali attività.

È l’età biologica (il funzionamento dei vari organi e tessuti dell’organismo) e non l’età cronologica a doverci indirizzare a provvedimenti di maggiore tutela. Di fronte ad un soggetto fragile (non necessariamente anziano) bisogna porre una maggiore attenzione in quanto più vulnerabile alle gravi conseguenze del Covid-19, e la strage che abbiamo assistito dall’inizio della pandemia settimane ha avuto come protagonista questa categoria di persone. Donne e uomini che non hanno avuto le sufficienti difese per resistere all’insidia del virus.

Proteggere questi soggetti più deboli e vulnerabili è un compito che una società civile deve mettere al primo posto della sua agenda attraverso una serie di interventi, ripensando ad un nuovo modello di organizzazione dei servizi sanitari e sociali. Certo la segregazione o il rinchiuderli in casa, al riparo dai contatti sociali, sarebbe la soluzione più semplice, ma rischia di isolarli e di accrescere in loro il senso di solitudine e di abbandono peggiorando irrimediabilmente le condizioni di salute; non dimentichiamoci che la solitudine è il più importante fattore di rischio per l’invecchiamento patologico. La solitudine uccide.




Posted on: 2020/04/26, by :