Covid-19: dall’allarmismo alla convivenza
di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |
Ormai dovremmo aver accettato l’idea che la pandemia non si risolve con una soluzione miracolosa, ma che dovremo conviverci per lunghi periodi. Le possibilità di contagio devono essere ridotte al minimo, indipendentemente dal bollettino che ogni sera viene presentato dai Tg. All’opposto, si scatenano discussioni infinite dettate da posizioni manichee che spesso si contraddicono nel volgere di poco tempo, tant’è che oggi non si riesce più a stilare una classifica dei rigoristi e dei possibilisti, non solo tra i politici, ma anche tra i virologi (e affini). Oggi ci dibattiamo tra due posizioni: da un lato la consapevolezza che, chi lascerà far funzionare l’economia acquisirà una posizione di vantaggio nei prossimi anni (il fatto che la Cina e la Russia riforniscano di vaccini i Paesi in difficoltà, in ultimo il Cile, inevitabilmente andrà ad influire nei rapporti commerciali dei prossimi decenni).
Dal lato opposto non si può dimenticare quanto successe a Filadelfia nell’autunno del 1918, allorché molti medici segnalarono la presenza di una nuova ondata epidemica della Spagnola più letale di quella primaverile: allarme snobbato dalle istituzioni. Wilmer Krusen, direttore della salute pubblica della città dichiarò che si trattava di una normale influenza ed acconsentì allo svolgimento della parata per celebrare la fine vittoriosa del conflitto: anzi si convinsero i redattori dei giornali a non scrivere dell’immanente pericolo. Dopo due/tre giorni (il periodo d’incubazione) si scatenò la furia nefasta del virus. Anche in quel caso si cercarono rinforzi tra il personale sanitario ma, su un bando per 3000 posti, si presentarono in 193.
Per quale fazione parteggiare, è una questione personale che ognuno di noi può decidere liberamente, come organizzare la risposta all’epidemia dovrebbe derivare da un concorso di tutte le scienze, con la politica in grado di effettuare una sintesi, ma così non sembra essere: speriamo che questa mancanza di unità d’intenti derivi dalla consapevolezza che la situazione non è così grave (ma il punto interrogativo su quest’ultima osservazione è d’obbligo).
Posted on: 2021/02/26, by : admin
Dal lato opposto non si può dimenticare quanto successe a Filadelfia nell’autunno del 1918, allorché molti medici segnalarono la presenza di una nuova ondata epidemica della Spagnola più letale di quella primaverile: allarme snobbato dalle istituzioni. Wilmer Krusen, direttore della salute pubblica della città dichiarò che si trattava di una normale influenza ed acconsentì allo svolgimento della parata per celebrare la fine vittoriosa del conflitto: anzi si convinsero i redattori dei giornali a non scrivere dell’immanente pericolo. Dopo due/tre giorni (il periodo d’incubazione) si scatenò la furia nefasta del virus. Anche in quel caso si cercarono rinforzi tra il personale sanitario ma, su un bando per 3000 posti, si presentarono in 193.
Per quale fazione parteggiare, è una questione personale che ognuno di noi può decidere liberamente, come organizzare la risposta all’epidemia dovrebbe derivare da un concorso di tutte le scienze, con la politica in grado di effettuare una sintesi, ma così non sembra essere: speriamo che questa mancanza di unità d’intenti derivi dalla consapevolezza che la situazione non è così grave (ma il punto interrogativo su quest’ultima osservazione è d’obbligo).
Posted on: 2021/02/26, by : admin