Coworking rurali e di montagna: opportunità di sviluppo anche in Piemonte

di Enrico Martial|

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In Piemonte, da gennaio 2021 l’associazione Dislivelli sta avviando i primi passi del progetto “NATworking”, sostenuto dalla Compagnia di San Paolo, per sollecitare la costituzione di coworking di montagna, e la loro messa in rete. Ci sono peraltro esempi da cui copiare: in Francia a fine 2018, si contavano già 1800 tiers lieux ruraux, esperienze ormai consolidate e in crescita. L’idea funziona, se si è deciso di finanziarne altri con 110 milioni di euro nel programma Nouveaux Lieux, Nouveaux Liens (“nuovi luoghi, nuove relazioni”). Ma che cosa sono i “luoghi terzi” o “third places” o “tiers lieux”. Ce ne parla Enrico Martial, aostano, esperto in cooperazione transfrontaliera.

Innanzitutto sono altro dalla casa e dal lavoro. Sono luoghi in cui si elabora, ci si incontra e ci si confronta: il bar o il ristorante, la sala del circolo, il centro sportivo, il co-working. Il concetto appartiene agli studi sociologici statunitensi di fine anni Ottanta (Ray Oldenburg, The Great Good Place, 1989) e con il tempo è arrivato in Europa nelle politiche di sviluppo territoriale. Per farsi capire, si richiama l’esperienza di ognuno di noi, con le occasioni di scambio di idee nei luoghi pubblici e nei bar. Per mostrarne la profondità, si ricorda che ai tempi della Rivoluzione francese il ristorante Le Procope e la sua biblioteca ad accesso libero fu luogo di grande dibattito e sede del Club dei Cordeliers, fondato nel 1790 da Georges Jacques Danton e Camille Desmoulins.

Nello sviluppo territoriale si parla di “luoghi terzi rurali” in montagna o in zone scarsamente urbanizzate. Favoriscono la crescita economica perché riducono gli spostamenti verso i centri urbani (meno costi, meno CO2, meno spopolamento e più attività in loco) favorendo in parte il telelavoro (o smart working). Infatti, i “luoghi terzi rurali” dispongono di accesso internet a banda ultralarga, almeno con 30 Mbps e possibilmente 100 Mbps simmetrici, cioè anche in upload, per farsi ascoltare e vedere in teleconferenza. Consentono un po’ di socialità, di non restare in pigiama a lavorare al PC di casa fino a quasi mezzogiorno. Inoltre, in diversi paesi e villaggi, sono anche un luogo di produzione di progetti economici di azione locale, dall’innovazione in orticultura ai laboratori tecnici, sono luoghi in cui si formano delle comunità con attività condivise.

In Europa sono una buona pratica degli “Smart Villages”, un’innovazione per lo sviluppo, ma il più ampio numero di esperienze di tiers lieux si è realizzato in Francia. La loro introduzione in Italia e in Piemonte – nelle zone di montagna o meno urbanizzate e nei piccoli comuni – avrebbe senso per diverse ragioni. La prima è di tipo economico-sociale, perché uscire di casa, appunto in “luogo terzo”, è importante sia per lo sviluppo personale (e psicologico), sia per quello professionale, con un rilievo quindi economico. In secondo luogo, considerata la difficoltà di avere una larghezza di banda sufficiente a domicilio in molte abitazioni di collina e montagna nonché in diverse aree meno popolate, il “luogo terzo” è una sede che offre una forte connettività Internet. Inoltre, vi si trovano alcuni servizi di base tipici dei coworking, come una saletta riunioni, il caffè e una biblioteca di scambio. Infine, in questa fase di emergenza, potrebbe essere di supporto per i casi individuali di più grave mancanza di connettività a casa per la didattica a distanza, con gli opportuni distanziamenti e misure di sicurezza.

Anche se i “luoghi terzi rurali” sono ormai una buona pratica, non sono facilissimi da costituire: occorre uno spazio fisico, qualcuno che lo tenga aperto oppure tecnologie che consentano solo agli “iscritti” di entrare e uscire da una porta controllata con una app o un codice. Servono anche delle regole, una tariffa e una capienza, che di solito varia dai 5 ai 15 posti. Soprattutto, ci vuole un modello economico sostenibile. Se guardiamo alle esperienze francesi e belghe, la soluzione è interamente pubblica oppure in molti casi di tipo misto, per esempio tra il Comune e un soggetto privato, come un’associazione o una cooperativa, che è anche un modo per favorire la partecipazione. D’altra parte, anche nelle zone meno abitate è possibile creare centri con buona connettività, sia con i primi risultati del programma nazionale per la banda ultra larga, sia con altre tecnologie. Spesso sono già disponibili 100 mbps negli edifici comunali e nelle biblioteche locali, se sono collegate, o in altri centri di rete comunale pubblica.




Posted on: 2021/02/05, by :