Dalla valanga sull’Abetone doverose riflessioni sulla montagna

di Marco Travaglini|

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Dalla cronaca de Il Tirreno sulla valanga di ieri all’Abetone: “[…] Nella mattina di sabato 11 dicembre la montagna “brontola” sull’appennino pistoiese. Località Val Sestaione-Lago Nero. Un muro bianco scivola via verso valle. Scatta l’allarme. Inizialmente sembra che ci siano delle persone coinvolte. Sono momenti di panico. Attorno alle 13, poi, il sospiro di sollievo, non risultano persone disperse. La valanga – afferma l’assessore al Turismo del Comune di Abetone Cutigliano, Andrea Formento – si è verificata lontano dalle piste da sci, ed è stata causata da uno sciatore fuori pista che ha “tagliato” la neve causando il distacco della neve. Il fronte non è ampio, ma si tratta di un episodio eccezionale, dato che in questo momento c’è un rischio valanghe di 2 su 5. Quindi non era assolutamente prevedibile”. Insomma, poteva andare peggio. Rimane sospesa la domanda, ogni qual volta si registrano eventi di questa natura, su quanto rispettiamo la montagna, intesa come risorsa ambientale e non come semplice oggetto di consumo, pur credendo di conoscerne ogni suo segreto. In proposito, una riflessione di Marco Travaglini.

Abitata da millenni, la montagna non è un peso per la collettività, ma un ricco patrimonio ambientale e umano di cultura, tradizioni, organizzazioni economiche e sociali. Alla montagna e alla sua gente occorre garantire condizioni di vita equivalenti a quelle delle altre comunità, mantenendo e valorizzandone il patrimonio ambientale, civile e culturale. Una colpevole disattenzione ormai vecchia di decenni ha ignorato come le culture e le identità delle popolazioni montane sono parte integrante dei processi di sviluppo non solo locali.

Uno sviluppo economico e sociale delle valli e delle “terre alte” non dovrebbe negare le peculiarità degli spazi e dei valori delle società rurali, come ha fatto con esiti disastrosi da più di mezzo secolo, e non può prescindere dalla valorizzazione delle specificità insediative della tradizione locale. La cultura popolare, intesa come patrimonio materiale e immateriale, costituisce un fattore qualificante del processo di rinnovamento e del rafforzamento delle identità locali.

In un mondo dove si tende ad appiattire e uniformare tutto è salutare rovesciare l’impostazione corrente e dare prospettiva agli aspetti culturali che determinano le identità delle popolazioni alpine e montanare. Anche lo sviluppo economico delle aree rurali va sostenuto, accompagnandolo con un articolato progetto culturale in grado d’attribuire valori e contenuti, possibilità e limiti alla stessa iniziativa economica, pubblica o privata che sia. I danni fatti non sono riparabili ma progredire sulla rovinosa strada degli ultimi decenni sarebbe esiziale. A ben vedere i principali manufatti della civiltà contadina che hanno inciso, modellato e arricchito i versanti delle valli (edifici, terrazzamenti, fontane, abbeveratoi, strutture agrarie di monte, etc..) costituiscono un patrimonio storico-culturale di pregio che dovrà essere pienamente riconosciuto, identificato, posto sotto tutela.

Gli elementi specifici e peculiari della tradizione insediativa nelle valli (sotto i tanti profili architettonici e ambientali, artigianali, agricolo-zootecnico-caseari, sociali, storici e culturali) costituiscono altrettanti temi identitari da sviluppare e preservare. La stessa salvaguardia del patrimonio culturale delle comunità di valle e di montagna è un presupposto di civiltà e in esso va ravvisato il pubblico interesse alla conservazione e alla tutela. Ciò che vale per i versanti dei monti, per l’assetto idrogeologico del territorio vale anche per le idee, le buone pratiche e i mestieri, le cure silvo-pastorali: se non ci si cura di questi aspetti correttamente e con adeguate risorse, tutto frana a valle e tutti ne pagano le conseguenze.

Chi ha responsabilità legislative, amministrative, sociali, economiche e culturali ai vari livelli dovrebbe operare per promuovere e sostenere azioni in difesa della presenza dell’uomo in montagna e delle condizioni essenziali per la piena vivibilità degli ambiti alpini e prealpini; per la difesa e promozione di un patrimonio storico, sociale e ambientale più unico che raro; a salvaguardia e valorizzazione delle testimonianze d’architettura tradizionale delle valli alpine e prealpine, in relazione alla dimensione paesistica e ambientale dei versanti modellati dal lavoro di alpigiani e contadini di montagna. Le stesse attenzioni andrebbero rivolte a sostegno delle manifestazioni sociali, religiose e economiche delle comunità valligiane, alle produzioni agricole e soprattutto casearie di nicchia, a quelle artigianali della pietra e del legno.

Si potrebbe continuare a lungo nell’elenco delle necessità e delle urgenze. Ciò che occorre è smuovere dal loro torpore e da un radicato disinteresse le istituzioni regionali, nazionali e comunitarie sull’impellente necessità di riconoscere la specificità della montagna con atti legislativi coerenti e misure organiche, adeguatamente finanziate. È l’unica via, pur scontando un insopportabile ritardo, che consentirebbe di preservare dal definitivo degrado, soprattutto a beneficio delle future generazioni, quanti più elementi possibili del ricco patrimonio della tradizione insediativa sviluppatasi nei secoli scorsi sui versanti delle valli, ponendo al riparo dalla definitiva scomparsa gli ultimi esempi di pregio dell’architettura rurale di tradizione come, per citarne uno, i tetti in piode di stalle e case contadine, considerati espressione singolare del genius loci, esempi diversi uno dall’altro in tutto l’arco alpino e dotati di elevato valore simbolico e identitario.

Tante risposte alle ” piccole cose di tutti i giorni”, raccolte in una concreta politica d’insieme, possono rappresentare un progetto per intere comunità. L’urgenza, acuta e stridente, c’è ed è evidente; la volontà di intervenire dipenderà dalla coscienza di chi ha delle responsabilità pubbliche.

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