Democrazia eguale ricchezza o eguale benessere? Quando i termini non sono forzatamente sinonimi

di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |

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Sul finire degli anni Trenta del Novecento, quando facevano notare a Winston Churchill la maggiore funzionalità dei sistemi dittatoriali instauratosi in Germania e Italia, lui osservava che, un parlamento senza opposizione lo avrebbe trovato estremamente noioso!

Antropologicamente la democrazia è destinata a vincere sulle dittature per la sua capacità di meglio interpretare la natura dell’uomo che nasce libero e, per potersi esprimere, ha bisogno di un ambiente che rispetti la sua individualità. Questo proemio può spiegare il sopravvento, nel lungo periodo, dello Stato liberale, su ogni altra forma di governo, ma ciò non esclude che nella ciclicità della storia vi siano momenti dove la democrazia, specie se questa sta vivendo una fase decadente, non sempre riesce ad esprimere tutte le sue potenzialità, riportando alla luce soluzioni diverse. Succede così che l’unica nazione che riesce a mantenere un tasso di crescita positivo del Pil è la Cina (previsto un +4%, nonostante l’uso della forza per sedare le manifestazioni ad Hong Kong, l’America si avvicinerà al pareggio, per l’Europa si profila un disastro) e che, l’idea dell’uomo forte al comando, piace per la sua semplicità (o perché sono in tanti che pensano di diventare amici del tiranno, accondiscendendo a tutte le sue richieste).

L’inutilità di “un solo uomo al comando”…

Non bisogna però stigmatizzare alcune richieste di riduzione di catene di comando per rendere più efficiente le linee decisionali: è questa una richiesta legittima, proprio per difendere la funzionalità di un sistema che, dalla polis greca, non ha trovato uguali come livello di civiltà. Non è da antidemocratici, sperare di veder diminuire il numero di autorizzazioni per aprire un’attività o per ottenere un documento (riportandoci ai livelli di tempo dedicato negli altri paesi europei), o che una persona anziana da sottoporre ad intervento chirurgico debba firmare una decina di moduli (che, per analfabetismo di ritorno, per tempo a disposizione, per totale disinteresse della materia quando si è ammalati, assolutamente non legge), o un sistema giudiziario che colpisce i cives (chi paga le tasse e rispetta le norme) e ignora chi può provocare disordini sociali (esercitando una specie di ricatto per ottenere una sorta di immunità). Il fascino delle decisioni tempestive anziché trasformarsi in uno slogan per far passare soluzioni antiliberali, dovrebbe portare alla ricerca di razionalità, in modo da non far venir meno la fiducia verso un meccanismo dove ognuno ha gli stessi diritti (ma anche gli stessi doveri) degli altri. Il delegare il potere ad un solo soggetto, senza specificarne i limiti operativi e temporali, può portare a degenerazioni perniciose. Il “vincente” non può essere di chi illude con il prospettare maggiori ricchezze (oggi chiamati spesso contributi pubblici), ma di chi avrà la capacità di rendere razionale l’uso delle risorse disponibili, in una logica conglobante tutti gli aspetti caratterizzanti la società. Con il Coronavirus, l’uomo forte va a sovrapporsi all’uomo capace di attrarre finanziamenti: entrambe le figure sono però lontane dal disegnare un progetto sociale. L’uomo forte, che si sostituisce alla volontà dei singoli, perde così di significato proprio per l’impossibilità di un soggetto di riassumere le volontà di altri soggetti, se non per una rinuncia della collettività a sapersi coordinare e autoregolarsi.

La superiorità antropologica della democrazia

Finché la crescita economica prospettava sempre maggiori opportunità, il dilemma era di definire le “precedenze” con cui soddisfare i diversi tipi di bisogni, illudendosi che ogni aspirazione potesse, prima o poi, trovare compimento: consumo e benessere praticamente diventarono sinonimi (pericolosi). I blocchi generati dal Coronavirus (e i 209 miliardi offrono una grande opportunità ma, nel contempo, anche un limite) pongono la necessità di rivedere i valori dei beni consumati quali espressione della soddisfazione, del vantaggio e dell’appagamento vero, che un individuo ottiene dal disporre una certa quantità di beni o servizi, senza dimenticare che il consumatore attribuisce a ogni bene o servizio un diverso valore, in rapporto al momento in cui si manifesta la necessità. L’appagamento derivante dal poter fruire di più beni e servizi non è però sinonimo di democrazia e forse neanche di ricchezza. Il funzionamento del mercato, base (anche se non esaustiva) delle democrazie dev’essere salvaguardato con meccanismi di regolamentazione per armonizzare e coordinare i vari comportamenti individuali, proiettandoli verso un ordine spontaneo, cioè non imposto da nessuno, ma condiviso e realizzato da tutti. Si afferma così la superiorità delle democrazie su tutte le altre soluzioni.

Dai consumi al mercato sociale

Il meccanismo, non sempre funzionante, del “libero mercato” può, nondimeno, trovare un nuovo paradigma applicativo nel cosiddetto “mercato sociale”. Se, infatti, le forze economiche lasciate libere tenderebbero a muoversi spontaneamente per trovare, tra loro, un equilibrio soddisfacente grazie all’azione regolatrice della mano invisibile del mercato, analogamente occorre che, a tutti i livelli, si raffinino i meccanismi in grado di velocizzare la scelta dell’efficienza sociale, onde evitare ogni forma di spreco. Le tradizionali ideologie del secolo scorso si possono ricondurre alla dicotomia tra: -Il comunismo che ha posto l’accento sulla distribuzione della ricchezza in modo egualitario, ma non è stato capace di creare ricchezza in modo continuativo, portando intere popolazioni alla fame e alla negazione dei fondamentali diritti dell’uomo.
-Il capitalismo che si è manifestato decisamente più efficace nel creare ricchezza, ma non è riuscito a distribuirla in modo etico, portando anch’esso alla fame milioni di persone generando, di conseguenza, rivoluzioni violente. Il capitalismo se si riduce solo a creare grandi capitali e non anche a creare una “maggioranza di piccoli capitalisti” è destinato a fallire.

Dalla dicotomia alla terza via

Una terza via può essere offerta da una società che sappia creare ricchezza (o più propriamente benessere), rinunciando agli aspetti deleteri derivanti da una ricerca forsennata di consumi, bensì generando forme di equità distributiva. La degenerazione delle società occidentali, ha portato a distruggere più ricchezza, di quanta riusciva a crearne, generando forme di spreco inverosimili: attività inquinanti, deficit pubblici fuori controllo, speculazioni su ogni contratto pubblico, comparaggio, tossicodipendenze etc. Tutte attività che generano un danno evidente senza che si riesca a porvi rimedio. Il vantaggio immediato di un soggetto, viene però pagato dalla società nel suo complesso, ma è decisamente più semplice governare facendo nuovi deficit che non riducendo i deficit fatti da altri. Un mercato sociale, quale presupposto della democrazia è, invece, chiamato, per sua natura, a rivedere ogni azione in una logica di utilità generale e non limitarsi a produrre e a distribuire prodotti: in questo senso la forsennata ricerca dell’aumento del Pil non è più l’unico parametro di riferimento. Per quanto importante, il perseguire un aumento della ricchezza, se non accompagnata da una reale crescita del benessere, non esime dal ricercare altri parametri, associando alla mano invisibile del mercato, la mano visibile della società. Per rispondere a queste esigenze diventa cioè fondamentale identificare una mano “visibile” del mercato sociale in grado di definire obiettivi razionali e comportamenti etici, tali da rendere sostenibile e vantaggiosa la convivenza.




Posted on: 2020/10/21, by :