Denatalità umana e natalità dei robot
di Pietro Terna|
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Per alcuni giorni la denatalità ha tenuto banco, facendo eco a un comunicato dell’Istat1 sulla riduzione della popolazione italiana nel 2020 di ben 384 mila residenti. “Come se fosse sparita una città grande quanto Firenze”, sta scritto nella nota pubblicata e tutti i quotidiani hanno ripreso l’immagine. Certo la causa principale è la riduzione delle nascite, ma non minore attenzione deve essere attribuita all’eccesso di mortalità nel 2020, rilevante soprattutto durante la prima ondata dell’epidemia di Covid-19 e in particolare al Nord.
Un lavoro dell’IRES Piemonte2 ci offre un’analisi ravvicinata ai dati regionali: la riduzione di un terzo dei nati nel 2020 rispetto al vicino 2011; la riduzione nello stesso periodo delle donne in età fertile del 14% per cui, anche a parità di figli per donna (1,27 in media), i nati totali diminuiscono. Saremo dunque di meno. È importante? Dato che più nessuno, almeno lo spero, pensa agli otto milioni di baionette della propaganda mussoliniana, forse no. Il problema è la composizione per età: se siamo per lo più anziani chi… paga i contributi per le pensioni, pensa qualcuno. Sì, anche, ma è il problema minore; quello maggiore è: chi produce i beni e i servizi che servono a tutti, giovani e anziani, e in particolare quei servizi di assistenza e cura che sono indispensabili alle persone più in là negli anni?
Gli immigrati, tra cui le badanti? Sì, certo, ma il mondo per fortuna sta cambiando e forse cambierà sempre più rapidamente, riducendo quella riserva di indigenti costretti a trasferirsi da noi per svolgere attività che gli italiani non fanno del tutto o non in misura sufficiente. Il paradosso è che contemporaneamente ci sono moltissimi giovani disoccupati, ma è una contraddizione solo apparente: una società di anziani è ferma, non innova, non crea posti di lavoro nei settori industriali emergenti e servizi di sempre maggior pregio culturale; tutto si riduce al fiorire di lavori mal pagati e di posti precari.
L’automazione per liberare l’uomo dall’alienazione e creare occupazione
Un lavoro dell’IRES Piemonte2 ci offre un’analisi ravvicinata ai dati regionali: la riduzione di un terzo dei nati nel 2020 rispetto al vicino 2011; la riduzione nello stesso periodo delle donne in età fertile del 14% per cui, anche a parità di figli per donna (1,27 in media), i nati totali diminuiscono. Saremo dunque di meno. È importante? Dato che più nessuno, almeno lo spero, pensa agli otto milioni di baionette della propaganda mussoliniana, forse no. Il problema è la composizione per età: se siamo per lo più anziani chi… paga i contributi per le pensioni, pensa qualcuno. Sì, anche, ma è il problema minore; quello maggiore è: chi produce i beni e i servizi che servono a tutti, giovani e anziani, e in particolare quei servizi di assistenza e cura che sono indispensabili alle persone più in là negli anni?
Gli immigrati, tra cui le badanti? Sì, certo, ma il mondo per fortuna sta cambiando e forse cambierà sempre più rapidamente, riducendo quella riserva di indigenti costretti a trasferirsi da noi per svolgere attività che gli italiani non fanno del tutto o non in misura sufficiente. Il paradosso è che contemporaneamente ci sono moltissimi giovani disoccupati, ma è una contraddizione solo apparente: una società di anziani è ferma, non innova, non crea posti di lavoro nei settori industriali emergenti e servizi di sempre maggior pregio culturale; tutto si riduce al fiorire di lavori mal pagati e di posti precari.
L’automazione per liberare l’uomo dall’alienazione e creare occupazione
Il futuro deve essere affrontato con una politica che richiede la costruzione di una complicata tavolozza di azioni. L’aiuto alla famiglia, certo, per chi ha figli, sia in termini economici, sia organizzativo, aspetto importantissimo e lo si è visto con i genitori che lavorano e la chiusura delle scuole, anche con la didattica a distanza che si interseca con il lavoro a distanza. La ripresa del lavoro per i giovani, con la promozione delle attività industriali innovative e dei servizi di fascia alta – collegati alla cultura, alla formazione, alla socialità – che devono stare al centro dell’impegno nazionale per il Recovery plan. La salvaguardia dell’occupazione, con la riduzione del tempo individuale di lavoro, in tutti i campi in cui l’automazione sta aumentando in modo vertiginoso. Ancora, la crescita delle opportunità di impegno di tutti, rafforzando le competenze individuali grazie a un sistema scolastico potenziato e esteso a tutte le età.
Infine, non dimentichiamo i robot. Non mi occupo di fantascienza, ma di fatti. Sul Financial Times del 4 aprile si legge un breve articolo il cui titolo “Robots: invisible march of the middle-class droids” riecheggia una pagina del New York Times3 del 26 febbraio 1928 – avete letto bene la data e la si imprima nella mente – su otto colonne: “March of the Machine Makes Idle Hands”. Già allora le mani senza lavoro rischiavano di essere quelle degli operai, poi la crisi di Wall Street del ’29, la Grande Depressione, travolse tutto e dopo la Seconda guerra mondiale nacquero nuovi bisogni e nuove produzioni per soddisfarli. Ora il Financial Times4si riferisce al lavoro d’ufficio, di una fascia più complessa di quella già annullata dai computer, con legioni di dipendenti al tecnigrafo, alla macchina da scrivere per copiare testi spesso stenografati, alle macchine contabili, tutti lavori che non esistono più. Si tratta ora di lavori che comprendono più fasi ritenute creative, come la scrittura di documenti e rapporti o l’assunzione di decisioni. La UiPath, company americana nata in Romania, è leader in questo tipo di applicazioni e si è recentemente quotata in borsa, con una capitalizzazione di 35 miliardi di dollari.
In campo industriale è dato per scontato, sotto gli occhi di tutti, l’uso dei robot per la produzione. Tutto ciò significa liberare persone verso compiti più importanti, verso impegni di servizio a favore del sociale, che è il campo sconfinato da cui deriva il vero benessere di una società, una volta superata la scarsità dei beni e dei servizi primari. Per affrontare un cambiamento così grande serve un altrettanto grande disegno che impegni le forze migliori della politica, delle imprese con le loro associazioni, dei lavoratori con i loro sindacati, dell’accademia e dei docenti di tutti gli ordini di scuola, con le loro rappresentanze. Chi si fa carico di iniziare?
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Infine, non dimentichiamo i robot. Non mi occupo di fantascienza, ma di fatti. Sul Financial Times del 4 aprile si legge un breve articolo il cui titolo “Robots: invisible march of the middle-class droids” riecheggia una pagina del New York Times3 del 26 febbraio 1928 – avete letto bene la data e la si imprima nella mente – su otto colonne: “March of the Machine Makes Idle Hands”. Già allora le mani senza lavoro rischiavano di essere quelle degli operai, poi la crisi di Wall Street del ’29, la Grande Depressione, travolse tutto e dopo la Seconda guerra mondiale nacquero nuovi bisogni e nuove produzioni per soddisfarli. Ora il Financial Times4si riferisce al lavoro d’ufficio, di una fascia più complessa di quella già annullata dai computer, con legioni di dipendenti al tecnigrafo, alla macchina da scrivere per copiare testi spesso stenografati, alle macchine contabili, tutti lavori che non esistono più. Si tratta ora di lavori che comprendono più fasi ritenute creative, come la scrittura di documenti e rapporti o l’assunzione di decisioni. La UiPath, company americana nata in Romania, è leader in questo tipo di applicazioni e si è recentemente quotata in borsa, con una capitalizzazione di 35 miliardi di dollari.
In campo industriale è dato per scontato, sotto gli occhi di tutti, l’uso dei robot per la produzione. Tutto ciò significa liberare persone verso compiti più importanti, verso impegni di servizio a favore del sociale, che è il campo sconfinato da cui deriva il vero benessere di una società, una volta superata la scarsità dei beni e dei servizi primari. Per affrontare un cambiamento così grande serve un altrettanto grande disegno che impegni le forze migliori della politica, delle imprese con le loro associazioni, dei lavoratori con i loro sindacati, dell’accademia e dei docenti di tutti gli ordini di scuola, con le loro rappresentanze. Chi si fa carico di iniziare?
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1https://www.istat.it/it/archivio/255802.”>https://www.istat.it/it/archivio/255802.”>https://www.istat.it/it/archivio/255802.
2 https://www.ires.piemonte.it Ricerca images, note e pubblicazioni, Bassa Natalità.pdf
3https://goo.gl/HfGnyG.
4 https://amp.ft.com/content/913feb53-0e69-45cd-8497-ff50360df9b1 anche chi non è abbonato può leggere un sia pur limitato numero di articoli del FT.
Posted on: 2021/04/06, by : admin
2 https://www.ires.piemonte.it Ricerca images, note e pubblicazioni, Bassa Natalità.pdf
3https://goo.gl/HfGnyG.
4 https://amp.ft.com/content/913feb53-0e69-45cd-8497-ff50360df9b1 anche chi non è abbonato può leggere un sia pur limitato numero di articoli del FT.
Posted on: 2021/04/06, by : admin