Di burocrazia si può anche morire

di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |

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Vi è mai capitato di accompagnare una persona anziana in qualche percorso burocratico-assistenziale e, superata una decina di firme, scorgere nel volto dell’impiegato la gentile richiesta di porre fine al supplizio provvedendo voi stessi ad apporre direttamente uno sgorbio di firma? Vi è mai capitato di ricevere la prestazione e, solo dopo aver firmato il modulo sulla privacy e consensi vari, domandarsi con una punta di sadismo, “ma se non firmo, cosa succede?”. Salvo poi, nel medesimo istante, comprendere che gli unici a finire nei guai sarebbero proprio quegli operatori che nel prendersi la responsabilità sulle proprie spalle, prima eseguono la prestazione (evitandoci ritardi, assembramenti, appesantimenti burocratici, etc.), poi si occupano della prassi burocratica. Infine, vi siete mai chiesto a che cosa si dà il consenso? Forse è meglio non farlo per non scoprire dalle indagini che milioni di contratti e di prassi burocratiche sarebbero da dichiararsi “non valide”!

Il sistema entra in crisi quando…

Quando si dispone di tempo e risorse illimitate, teoricamente non vi sono problemi. Nel caso contrario o in una situazione di urgenza, per esempio, con un infarto in corso, sentirsi dire che occorre prima assolvere alle formalità (generalità e obblighi di “bollatura” in uscita nel caso di dipendente pubblico), la richiesta lascia piuttosto sbigottiti. Ma oramai il rispetto maniacale della norma negli ambiti di propria competenza è diventato una prassi che ha messo piede tanto nelle pubbliche amministrazioni che in più settori del privato. A dispetto, però, del funzionamento del sistema e persino della vita degli interlocutori. L’atteggiamento volto alla ricerca del particolare, con grave pregiudizio della visione generale, spiega anche i piccoli problemi quotidiani, che spesso trovano una loro giustificazione nel livello di accondiscendenza al potere: “lo dice il ministro” (non ha importanza di quale governo o partito), “lo dice la Corte dei conti” (che non si è dimostrata molto attiva nel verificare il così basso livello di produttività nel nostro Paese, ultimo in Europa, a pari merito con la Grecia, ma al più si è chiesta come mai da 40 anni, in tutto il Piemonte, si presenta una sola banca ai bandi di tesoreria… bandi ovviamente perfettamente regolari sotto un profilo burocratico). In compenso, siamo l’Italia è prima al mondo per numero di “protocolli”: protocolliamo e archiviamo tutto, anche le richieste per recarsi in bagno (ed in alcuni casi, tali richieste, vengono conteggiate per giustificare i carichi di lavoro).

Il benchmarket dell’accondiscendenza

Se un dirigente giapponese sbaglia, in casi estremi fa “seppuko”, “autopunizione” meglio conosciuta in Occidente con il termine di “harakiri”. Situazione decisamente capovolta nel nostro Paese, dove gli errori sono “premiati” con un avanzamento di carriera, forse in omaggio all’adagio latino “promoveatur ut amoveatur”. Come aveva già scritto Ennio Flaiano “gli Italiani sono sempre pronti a correre in soccorso dei vincitori”. Non stupisce, così, il successo di una selezione distorta che favorisce l’inefficienza a detrimento di coloro che si sacrificano pur di mantenere in funzione il sistema. Morale: chi si oppone al degrado del sistema diventa un “eretico”, perché contrario all’opinione comunemente accettata, dunque fautore di un comportamento o scandaloso e sovversivo. Di conseguenza, il mancato rispetto di una regola burocratica di assoluta inutilità provoca disordine non perché si combatte un dogma, ma perché dimostra come l’agire umano può e deve trovare soluzioni razionali, anche se non confacenti al comune sentire. La differenza risiede, infatti, nei risultati raggiunti. Se una regola correttamente applicata genera consensi e produce benessere, va difesa, mentre i comportamenti irrazionali vanno contrastati anche se previsti in qualche cavillo legale. Soprattutto a livello di Comunità europea sono già stati predisposti confronti che mirano ad evidenziare la reale utilità di certe norme o di certi atteggiamenti mentali (dove l’Italia riesce quasi sempre a indossare la maglia nera); all’opposto, sono quasi inesistenti le indagini autoctone volte a misurare qual è il costo di tutti i moduli stampati per acquisire il consenso informato e le liberatorie sulla privacy e soprattutto il costo dei magazzini dove devono essere conservate gelosamente dette scartoffie.

Lo spreco di risorse fa sempre rima con emergenza

Impressiona come il sistema non riesca a chiedersi con forza “Cui prodest scelus, is fecit”. Evidentemente sono troppi numerosi gli interessi che sottostanno a questi meccanismi e troppe sono le persone che, per il quieto vivere, cedono agli interessi in gioco. Chissà quanti dei 209 miliardi di euro, “gentilmente” dati in prestito dall’UE, serviranno a rilanciare gli investimenti e quanti a perpetrare il sottobosco dell’inefficienza. Qualcuno timidamente ricorda che le prossime generazioni dovranno restituire, con gli interessi (anche se ad un tasso assolutamente favorevole) detti finanziamenti. Draghi, Gentiloni, Cottarelli, per fare alcuni nomi, hanno posto il problema. Ma, com’è noto, non sono in una posizione che impone loro di rincorrere il consenso elettorale… Con tutta probabilità, aspetteranno di essere chiamati al “capezzale” del Paese quando il governo di turno, dopo anni di promesse e di bonus elargiti a pioggia, verrà travolto da uno spread a 500 punti, come successe al governo Berlusconi nel novembre del 2011, sostituito da Mario Monti. Peccato che così facendo non è più il popolo a decidere e, ancor più grave, si riesce a produrre solo provvedimenti di emergenza, senza una chiara visione di crescita della società. In altre parole, non sappiamo più cosa vogliamo, ma lo vogliamo, anzi lo pretendiamo anche con il ricorso alla violenza.

I danni per l’individuo e i guasti prodotti nella società

Ed è forse questo il problema: di burocrazia non muore solo l’individuo cui non sono assicurate prestazioni essenziali o si è negata (ritardata) la possibilità di difendersi, ma la stessa società che continua ad assorbire risorse in cose palesemente inutili, distruggendo ricchezza più di quanta riesca a produrne. Compresa la ricchezza che viene “trasferita” al management cui viene riconosciuto il massimo degli incentivi, anche quando è accertata la sua totale responsabilità nel disastro gestionale, con buona pace della meritocrazia. La storia insegna che a Costantinopoli (l’attuale Istanbul), si continuava a discutere sul sesso degli angeli, mentre gli Ottomani si apprestavano nel 1453 ad entrare nella capitale dell’Impero romano d’Oriente e i “dotti disquisitori” percepivano compensi e godevano di prestigio sociale nettamente superiori a chi stava a fare da vedetta sulle mura.




Posted on: 2020/09/25, by :