Diamo credito ai giovani senza se e senza ma

di Claudio Artusi|

|

Il percorso intrapreso dalla Porta di Vetro (cominciato se vogliamo in forma laterale fin dallo scorso anno con una serie di dibattiti) su Torino e sul suo capitale umano, e proseguito con l’ultimo articolo di Pietro Terna sulle prospettive delle giovani generazioni1, ha smosso interesse, curiosità e discussioni all’interno dell’associazione, tra i lettori e tra i suoi stessi autori. Da qui l’intervento di Claudio Artusi

Mettiamo un punto fermo: i giovani che a Torino si affacciano al mondo del lavoro da qualunque canale provengano sono mediamente di alta qualità. A dirlo sono i fatti. Ciascuno di noi in questi anni ha fatto esperienza di talenti che si sono affermati molto bene “extramoenia”. Poi lo dicono i numeri: se la ricerca del posto di lavoro si allarga ad un raggio extra regionale i tempi di attesa si riducono a tre mesi, se si allarga ad un raggio internazionale il tempo si riduce ad un mese. E questo vale per qualsivoglia professione e mestiere.

Quali sono i fattori di successo dei nostri giovani? Provo ad elencarli: buoni studi, mente aperta, orgoglio nell’affermarsi. Insomma, i bamboccioni sono un’altra cosa… Certo per il nostro territorio il bilancio è molto negativo: investiamo soldi e tempo a creare risorse pregiate e lasciamo che altri territori ne usufruiscano. Perché questo fenomeno e che cosa si può fare per invertirne il trend? Cito due paradigmi espressi lucidamente dal professor Terna nel recente articolo: rottura generazionale e licenza di agire e anche di sbagliare. Dobbiamo avere il coraggio di creare una élite di “potere” fatta di giovani. Parlo di coraggio volutamente, perché la tentazione dell'”usato sicuro” è alta e comprensibile. Sul breve, esperienza e curriculum danno molto più affidamento, ma nessuna comunità nella storia passata e recente ha costruito il successo basandosi su questo criterio.

Non vi sono ricette né normative, né organizzative che ci sostengano su questa strada: è un humus sociale e culturale che deve generare un clima orientato alla intraprendenza, alla assunzione di responsabilità e di conseguenza di rischio, al gusto di innovare, alla curiosità per nuove esperienze e per nuove storie, al riconoscimento del merito. Le grandi corporation che hanno strabiliato in questi ultimi due decenni hanno praticato sistematicamente questi valori, senza dimenticare rigore, severità, lealtà nell’applicarli. Ma una città, un Paese, non sono assimilabili ad una corporation e non cado nella tentazione di presentare la lista di buone pratiche che forniscono le società di consulenza strategica. Rompo questa logica e lancio una sfida innanzitutto a me stesso e poi ai lettori: facciamo sì che ogni nostra decisione, sia piccola e circostanziata, sia ampia e di largo respiro, venga assunta alla luce di questi principi ispiratori. Diamo stabilità e coerenza a questi comportamenti, diamo anche notorietà agli stessi, per creare un clima rassicurante per i protagonisti del futuro cui presentiamo (come accade in tante parti del mondo) una strada sfidante, faticosa e affascinante.

Mi piacerebbe ricevere tante obiezioni a questa proposta, discuterne fino allo sfinimento e con chi ci sta, provarci senza se e senza ma. Personalmente sono deluso dai grandi progetti, vorrei essere in un gruppetto che dice esplicitamente di voler costruire il futuro. Vediamo se sono solo un visionario, ed anche se lo fossi sarei ben felice di esserlo!



_______