Fondi strutturali europei: per l’Italia è il momento della coerenza

di Nicola De Michelis * |

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L’Europa ha un problema condiviso da tutti i Paesi membri dell’Unione: lo sviluppo. Da qui non si scappa, per cui la riflessione segue una scontata, quanto ineludibile domanda: l’Europa che fa e cosa può fare?

Bruxelles ha uno strumento a sua disposizione che è la politica di coesione. Una politica non priva di difficoltà nel suo funzionamento certamente complesso. Ma anche l’unica politica europea che permette di indirizzare gli investimenti su territori specifici, su gruppi di popolazione specifici, al contrario di altre politiche europee, settoriali, gestite direttamente dalla Commissione, che sono largamente disattente agli specifici problemi di questi territori.

Al contrario, la politica di coesione è frutto di una gestione congiunta fra la Commissione europea e le Autorità nazionali e regionali. Nella sostanza, significa i singoli progetti sono selezionati e gestiti direttamente da queste autorità, ma nel quadro di programmi negoziati con la Commissione. A sua volta, la Commissione, nel corso dei sette anni di funzionamento di questa politica, controlla che le risorse siano utilizzate in modo efficace e secondo quanto previsto nei regolamenti e nei programmi.

Un principio importante del funzionamento di questa politiche è che le risorse europee devono aggiungersi alle politiche nazionali e non sostituirle. Altrimenti, l’effetto complessivo evidentemente è molto modesto. Questione tutt’altro che scontata, però, per l’Italia. La settimana scorsa, infatti, Marc Lemaître, direttore generale della Direzione Generale per le politiche regionali della Commissione Europa, ha inviato una lettera a Roma per richiamare il governo al rispetto del principio di addizionalità. L’Italia non è il solo paese ad essere stato richiamato: anche Romania e Bulgaria hanno ricevuto raccomandazioni. Ma l’Italia ha spesso disatteso questo principio nel corso dei diversi periodi di programmazione. Il che chiama in causa tutte le forze politiche che si sono ritrovate a guidare il Paese e la grande questione dello svincolo dal patto di stabilità del cofinanziamento nazionale ai programmi europei.

Ciò detto, e contrariamente a quello che spesso si racconta, l’Italia ha sempre utilizzato appieno i fondi europei, parliamo di 32 miliardi di euro. Lentamente rispetto ad altre esperienze europee, ma utilizzati comunque. Il problema è piuttosto nella sostituzione anomala di risorse ordinarie nazionali con fondi europei: la conseguenza spesso invitabile è che i fondi si trovano a dover finanziare tutte le molte cose che le risorse nazionali avrebbero dovuto finanziare, con l’effetto di una grande frammentazione degli interventi.

Secondo punto: l’Italia spesso soffre di una debolezza amministrativa. Vulnus antico, su cui l’Italia tra l’altro si prende ogni anno una raccomandazione specifica che suona così: voi dovete rafforzare la vostra amministrazione pubblica, che è fragile, anche nell’utilizzo delle risorse europee dei fondi strutturali. In parte, ciò è legato alla complessità del sistema istituzionale italiano, con tante funzioni condivise tra livelli di governo che certo non facilitano gli interventi e creano sovrapposizioni. E senza dubbio la complessità della regolamentazione comunitaria non aiuta. E non c’è dubbio che il blocco delle assunzioni nell’amministrazione pubblica ha a lungo andare indebolito la macchina amministrativa. Ma non c’è dubbio che molto si può fare già identificando i nodi amministrativi, snellendo le procedure, accorciando i tempi di attuazione. Questa è stata la grande esperienza dei Piani di Riforma Amministrativi introdotti in Italia nell’attuale periodo di programmazione. Questa è la grande questione del negoziato che si sta aprendo sui nuovi programmi per il periodo 2021-27. Troviamo un modello che risponda a quel problema, identifichiamo quali sono le fragilità, quali le cose concrete da fare e entro quali tempi, con un monitoraggio serrato delle scadenze in modo che tra dieci anni non ci si debba ritrovare ad avare la stessa discussione.

Morale: diamo continuità alle cose buone fatte fino ad oggi, cercando di non reinventare tutto ogni sette anni. Con buon senso, continuiamo a utilizzare quei sistemi che funzionano. Per esempio: nel 2016 la Ue ha avuto una discussione molto importante con l’Italia per introdurre all’interno del funzionamento dei fondi strutturali il credito d’imposta, il cui vantaggio è noto: velocità e snellezza degli automatismi, però è poco selettivo. Ne consegue che si è disposti a utilizzare quel tipo di strumenti a condizione che gli interventi siano mirati e a supporto di specifici settori.

Infine, concentriamoci su poche, precise priorità, anziché disperdere i finanziamenti su molteplici iniziative. Concentriamoci, per esempio, su educazione e istruzione, sul cambiamento climatico, diventato una grande priorità mondiale e della nuova Commissione in particolare, sui processi di competitività e innovazione. La frammentazione degli investimenti non è più condivisibile.

Dobbiamo avere il coraggio di scelte precise. Ed è questo il vero nodo su cui verterà questa discussione.



* European Commission, Director for Smart and Sustainable Growth and Programme Implementation IV (Cyprus, Greece, Italy, Malta, Portugal and Spain).


Posted on: 2019/10/16, by :