Genova G8, vent’anni dopo. Ora dovrebbe essere chiaro che fu un’occasione perduta

di Michele Ruggiero|

|

Da giovedì 19 luglio a domenica 22 luglio del 2001, si svolse a Genova il G8. Vent’anni dopo, si ritorna a parlare di un momento storico importante che vide la legittima contrapposizione dialettica tra il Potere (i governi dei maggiori paesi industrializzati) e chi aveva il diritto di offrire una visione anche critica della globalizzazione, dei rischi connessi per la democrazia; riserve che preludevano – e meritavano di essere ascoltate – ad una contestazione della stessa globalizzazione non intesa come uno sviluppo naturale, armonico e positivo dell’evoluzione umana. Quel momento, invece, si trasformò nei giorni dell’ira. E nelle settimane, mesi, anni successivi l’Italia e il mondo misero in un cantone, in ombra, domande cruciali per il nostro futuro e non si curò più delle eventuali (e mancate) risposte con cui oggi ci ritroviamo a fare i conti, in una situazione di debolezza estrema per gli effetti ancora perduranti della pandemia.

Il G8 di Genova avrebbe dovuto discutere se la strada imboccata era rispettosa dell’ambiente, dell’uso delle risorse e soprattutto della redistribuzione della ricchezza che mostrava una preoccupante e pericolosa (ri)concentrazione nelle mani di pochi. E non pomposamente, come troppe volte si scrive, del futuro del nostro pianeta che può, dall’alto dei suoi miliardi di vita, fare a meno di noi (e ne sarebbe probabilmente felice) e spazzarci via come fuscelli, come ospiti non più desiderati.

Vent’anni fa, invece, andò in ben altro modo. La cronaca, cronaca di lutti, di sangue e di drammi fu trasformata in storia. Una storia che immiserì, e non poteva essere altrimenti, il quotidiano, con continui allarmismi, esasperazioni e dichiarazioni incendiarie da parte di chi avrebbe dovuto invitare alla calma e rimandare freddezza, preludio al senso dell’inevitabilità: Genova messa a ferro e fuoco dalle violenze dei famigerati Black bloc che ricaddero con cattiveria sui promotori delle pacifiche manifestazioni. Fotogramma dopo fotogramma si arrivò ineluttabilmente agli scontri di piazza. Poi alla morte del manifestante No Global Carlo Giuliani, 23 anni, colpito a morte da un colpo di pistola esploso da un altrettanto giovane e inesperto carabiniere. E sui teleschermi di tutto il mondo apparvero le successive immagini che riprendevano i veleni della paura, della rabbia, dell’adrenalina al servizio dell’istinto di sopravvivenza: immagini che fecero il giro del mondo con il Land Rover Defender dell’Arma che per ben due volte martoriava il corpo del giovane, passandoci sopra. Infine, ci si ritrovò dinanzi allo Stato “torturatore” in divisa, al pestaggio di centinaia di giovani inermi nella caserma Diaz di Genova Bolzaneto, le cui responsabilità sono state accertate dalla magistratura e dai processi che ne sono seguiti. Il 7 aprile 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato all’unanimità che è stato violato l’articolo 3 sul “divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti” durante l’irruzione della scuola Diaz. Su quei fatti ci fermiamo qui. Nei prossimi giorni saranno ripresi e ricordati da ben più qualificati e autorevoli commentatori, resoconti e testimonianze; in particolare, segnaliamo, “Genova per tutti”, un podcast originale la cui prima delle sei puntate è andata in onda ieri alle 22,30 su RadioTre.

Vent’anni fa, dunque, prese le mosse il film di cui oggi vediamo i primi titoli di coda, da brivido: guerre pianificate con il sostegno falsità e bugie; disastri ambientali, crollo dei diritti sociali e della tutela e della sicurezza del lavoro, migrazioni e morti per sfuggire alla fame e ai conflitti locali, culto della personalità e del fanatismo, pandemia. Fu un finale funzionale e utilizzato appieno da chi voleva continuare a manovrare in assoluta libertà, seguendo le linee di un liberismo sfrenato e giocato sullo sfruttamento della forza lavoro.

Un liberismo che dopo l’11 settembre di quello stesso anno, all’indomani dell’attentato alle Torri gemelle di New York, si sarebbe liberato definitivamente di lacci e lacciuoli sotto l’onda emotiva incontrollabile che reclamava soltanto vendetta e non un’analisi onesta e coerente dei perché della radicalizzazione dello scontro con l’estremismo islamico, dei disinvolti giochi di potere in Medio oriente e in quell’area calda del Centro Asia per l’accaparramento delle risorse naturali destinati a provocare squilibri strategici geopolitici che paghiamo a caro prezzo. Continuiamo così. Facciamo del male, come direbbe Nanni Moretti.




Posted on: 2021/07/18, by :