Gigi Meroni, quando la farfalla smise di volare
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Una, due, tre, più vite fa moriva Gigi Meroni, l’eterodosso giocatore del Toro, personaggio fuori dagli schemi, trasgressivo dentro e fuori i campi di calcio, seduttore della curva Maratona e del tifo granata. Era il 15 ottobre del 1967, una domenica, una giornata plumbea, di pioggia su Torino, esattamente come oggi. Una domenica maledetta si dirà nei giorni, settimane, mesi, anni a venire, orfani dei suoi dribbling, delle sue fulminanti battute, del suo essere diverso, mai convenzionale.
Eppure, la domenica di Gigi Meroni, 24 anni, era cominciata con il sorriso della vittoria, netta, schiacciante: un 4-2 rifilato alla Sampdoria del dottor Fulvio Bernardini, campione degli anni Trenta, condottiero del Bologna campione d’Italia nel 1964, lo stesso che nel 1974 diventerà c.t. della Nazionale azzurra dopo la “magra” ai Mondiali di Germania. La “farfalla granata”, in quel pomeriggio uggioso non aveva segnato, “limitandosi” con i suoi assoli, le sue serpentine, i suoi guizzi a caricare i cuori granata che di lì a poche ore avrebbero avuto un sussulto, fermandosi per un attimo pur di non registrare nei cervelli che l’idolo era morto, falciato da un’auto, travolto da un’altra, mentre attraversava corso Re Umberto insieme con il suo inseparabile amico e compagno di squadra Fabrizio Poletti.
Verso sera, le ali della farfalla granata si spensero. E all’ospedale Mauriziano di Torino s’iniziò il lento pellegrinaggio di chi lo amava, di chi gli aveva voluto bene, ammirato, rispettato da avversario e a volte contestato per i suoi atteggiamenti ribelli, i suoi capelli lunghi che gli erano costati anche una chiamata in Nazionale, il suo snobismo di arrotolarsi i calzettoni sulle caviglie, come un altro grande del calcio, Omar Sivori. La domenica successiva, una giornata di piena luce, il Toro affrontò la Juventus in un derby che rifiutò la tristezza, perché lo spettacolo deve sempre continuare. E i granata travolsero la Vecchia Signora con tre goal dell’indio Nestor Combin e uno del sostituto di Meroni, il giovane Carelli. Così, il rimpianto per una domenica divenne più leggero.
Posted on: 2020/10/15, by : admin
Eppure, la domenica di Gigi Meroni, 24 anni, era cominciata con il sorriso della vittoria, netta, schiacciante: un 4-2 rifilato alla Sampdoria del dottor Fulvio Bernardini, campione degli anni Trenta, condottiero del Bologna campione d’Italia nel 1964, lo stesso che nel 1974 diventerà c.t. della Nazionale azzurra dopo la “magra” ai Mondiali di Germania. La “farfalla granata”, in quel pomeriggio uggioso non aveva segnato, “limitandosi” con i suoi assoli, le sue serpentine, i suoi guizzi a caricare i cuori granata che di lì a poche ore avrebbero avuto un sussulto, fermandosi per un attimo pur di non registrare nei cervelli che l’idolo era morto, falciato da un’auto, travolto da un’altra, mentre attraversava corso Re Umberto insieme con il suo inseparabile amico e compagno di squadra Fabrizio Poletti.
Verso sera, le ali della farfalla granata si spensero. E all’ospedale Mauriziano di Torino s’iniziò il lento pellegrinaggio di chi lo amava, di chi gli aveva voluto bene, ammirato, rispettato da avversario e a volte contestato per i suoi atteggiamenti ribelli, i suoi capelli lunghi che gli erano costati anche una chiamata in Nazionale, il suo snobismo di arrotolarsi i calzettoni sulle caviglie, come un altro grande del calcio, Omar Sivori. La domenica successiva, una giornata di piena luce, il Toro affrontò la Juventus in un derby che rifiutò la tristezza, perché lo spettacolo deve sempre continuare. E i granata travolsero la Vecchia Signora con tre goal dell’indio Nestor Combin e uno del sostituto di Meroni, il giovane Carelli. Così, il rimpianto per una domenica divenne più leggero.
Posted on: 2020/10/15, by : admin