Governo Draghi: e se fosse l’inizio della politica ritrovata sotto l’egida europea?
di Stefano Rossi|
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È molto diffusa la narrazione per cui in Italia la politica è ormai incapace a risolvere i problemi del Paese, e quindi ogni tot anni serva un governo tecnico per rimettere “in quadro” il sistema. A ben vedere, questa narrazione è l’altra faccia dell’antipolitica, esplosa nel nostro Paese all’indomani del crollo del muro di Berlino e dei partiti di massa, codificata dall’inchiesta Mani Pulite, diventata la Tangentopoli che ha azzerato un’intera classe dirigente, mettendo così in dubbio lo stesso meccanismo di accreditamento e legittimazione della classe politica rispetto ai cittadini.
La fase storica dell’antipolitica iniziatasi nel 1992 ha favorito l’ascesa al potere negli anni di politici “non di professione” e di “rottamatori”, ma anche di tecnici (Ciampi 1993, Dini 1995, Monti 2011). È stata un’epoca segnata da disillusione e disaffezione dei cittadini rispetto alla classe politica e ai partiti, che ha interessato praticamente tutte le forze politiche, accusate prima di disonestà e poi di incompetenza. La crisi della politica non ha comportato una rifondazione del sistema, ma il semplice avvicendarsi nello stesso sistema di facce nuove e prive di esperienza politica, con il risultato che dopo un trentennio le medesime critiche di disonestà e incompetenza si rivolgono oggi all’homo novus esattamente come si rivolgevano un tempo al politicante consumato. Insomma, un circolo vizioso da cui sembra impossibile uscire.
L’incapacità della politica a dare soluzione ai problemi dei cittadini non è però soltanto una questione di percezione dei cittadini. C’è infatti un elemento strutturale nel sistema politico italiano – e in tanti altri sistemi politici in Europa e nel mondo – che ha di fatto privato la stessa politica degli strumenti necessari per affrontare le nuove sfide poste dalla globalizzazione: la scarsità delle risorse pubbliche, conseguenza di una fase economica di crisi o stagnazione, aggravata dal peso del debito accumulato negli anni successivi al boom economico e dalla dottrina neoliberista dello “Stato leggero”. Questa situazione, che è diventata esplosiva nel 2011 con la crisi del debito sovrano, ha segnato profondamente la storia dei governi dell’ultimo decennio e sembra aver ridotto al minimo i margini di manovra della politica, il cui obiettivo esistenziale è stato la necessaria e non più rinviabile riduzione del debito pubblico.
Ma oggi, grazie all’avanzamento repentino nel processo di integrazione europea impresso dall’esplosione della pandemia, è nato un nuovo strumento di spesa pubblica che poggia sulla capacità dell’UE stessa di finanziare a debito gli investimenti necessari per la ripresa economica dei suoi stati membri: il Next Generation EU. Come noto, si tratta di un programma di investimenti di portata straordinaria, basato su nuove risorse proprie dell’UE e non su trasferimenti dai bilanci nazionali, che significherà per l’Italia una inedita capacità di spesa pubblica fino al 2027. Allo stesso tempo, consentirà di allentare – e forse, in prospettiva, superare – il patto di stabilità, anche grazie all’imponente programma di acquisti della BCE che fin dai primi giorni di pandemia ha stabilizzato gli interessi sul debito.
La sfida di usare bene questi fondi è aperta e i suoi esiti per nulla scontati, ma è di fondamentale importanza che questa sfida non sia stata demandata ai tecnici, bensì a un governo di unità nazionale composto da tutte le forze politiche che hanno scelto di mettersi in gioco e assumere la responsabilità della ricostruzione. Il ruolo autorevole di Draghi e il suo impegno sulle riforme necessarie a rilanciare il Paese non rappresenta l’ennesimo esautoramento dei politici da parte dei tecnici (il “commissariamento”), ma la condizione perché le forze politiche si assumano la responsabilità delle sorti del Paese, si accreditino nuovamente presso i cittadini e possano riabilitarsi nella società. In definitiva, questo governo ha la chance di superare la fase dell’antipolitica e dare il via a una nuova fase per l’Italia e per l’Europa che sappia guardare al futuro e affrontare davvero le sfide della globalizzazione.
Allo stesso tempo, se la sfida sarà vinta, il perimetro politico del governo Draghi segnerà probabilmente il perimetro delle forze che parteciperanno nei prossimi anni ai governi della ricostruzione, che a ben vedere è una riedizione aggiornata dell’arco costituzionale (repubblicano ed europeista) che ha assunto la responsabilità di ricostruire l’Italia dopo la Seconda guerra mondiale.
Posted on: 2021/02/25, by : admin
La fase storica dell’antipolitica iniziatasi nel 1992 ha favorito l’ascesa al potere negli anni di politici “non di professione” e di “rottamatori”, ma anche di tecnici (Ciampi 1993, Dini 1995, Monti 2011). È stata un’epoca segnata da disillusione e disaffezione dei cittadini rispetto alla classe politica e ai partiti, che ha interessato praticamente tutte le forze politiche, accusate prima di disonestà e poi di incompetenza. La crisi della politica non ha comportato una rifondazione del sistema, ma il semplice avvicendarsi nello stesso sistema di facce nuove e prive di esperienza politica, con il risultato che dopo un trentennio le medesime critiche di disonestà e incompetenza si rivolgono oggi all’homo novus esattamente come si rivolgevano un tempo al politicante consumato. Insomma, un circolo vizioso da cui sembra impossibile uscire.
L’incapacità della politica a dare soluzione ai problemi dei cittadini non è però soltanto una questione di percezione dei cittadini. C’è infatti un elemento strutturale nel sistema politico italiano – e in tanti altri sistemi politici in Europa e nel mondo – che ha di fatto privato la stessa politica degli strumenti necessari per affrontare le nuove sfide poste dalla globalizzazione: la scarsità delle risorse pubbliche, conseguenza di una fase economica di crisi o stagnazione, aggravata dal peso del debito accumulato negli anni successivi al boom economico e dalla dottrina neoliberista dello “Stato leggero”. Questa situazione, che è diventata esplosiva nel 2011 con la crisi del debito sovrano, ha segnato profondamente la storia dei governi dell’ultimo decennio e sembra aver ridotto al minimo i margini di manovra della politica, il cui obiettivo esistenziale è stato la necessaria e non più rinviabile riduzione del debito pubblico.
Ma oggi, grazie all’avanzamento repentino nel processo di integrazione europea impresso dall’esplosione della pandemia, è nato un nuovo strumento di spesa pubblica che poggia sulla capacità dell’UE stessa di finanziare a debito gli investimenti necessari per la ripresa economica dei suoi stati membri: il Next Generation EU. Come noto, si tratta di un programma di investimenti di portata straordinaria, basato su nuove risorse proprie dell’UE e non su trasferimenti dai bilanci nazionali, che significherà per l’Italia una inedita capacità di spesa pubblica fino al 2027. Allo stesso tempo, consentirà di allentare – e forse, in prospettiva, superare – il patto di stabilità, anche grazie all’imponente programma di acquisti della BCE che fin dai primi giorni di pandemia ha stabilizzato gli interessi sul debito.
La sfida di usare bene questi fondi è aperta e i suoi esiti per nulla scontati, ma è di fondamentale importanza che questa sfida non sia stata demandata ai tecnici, bensì a un governo di unità nazionale composto da tutte le forze politiche che hanno scelto di mettersi in gioco e assumere la responsabilità della ricostruzione. Il ruolo autorevole di Draghi e il suo impegno sulle riforme necessarie a rilanciare il Paese non rappresenta l’ennesimo esautoramento dei politici da parte dei tecnici (il “commissariamento”), ma la condizione perché le forze politiche si assumano la responsabilità delle sorti del Paese, si accreditino nuovamente presso i cittadini e possano riabilitarsi nella società. In definitiva, questo governo ha la chance di superare la fase dell’antipolitica e dare il via a una nuova fase per l’Italia e per l’Europa che sappia guardare al futuro e affrontare davvero le sfide della globalizzazione.
Allo stesso tempo, se la sfida sarà vinta, il perimetro politico del governo Draghi segnerà probabilmente il perimetro delle forze che parteciperanno nei prossimi anni ai governi della ricostruzione, che a ben vedere è una riedizione aggiornata dell’arco costituzionale (repubblicano ed europeista) che ha assunto la responsabilità di ricostruire l’Italia dopo la Seconda guerra mondiale.
Posted on: 2021/02/25, by : admin