I Fondi strutturali: le decisioni urgenti da prendere per il nuovo Parlamento e la nuova Commissione Europea
di Mercedes Bresso |
| L’impossibilità di decidere, nella passata legislatura europea, l’entità e le caratteristiche del nuovo quadro finanziario pluriennale 2021-2027 ha bloccato la possibilità di approvare la futura regolamentazione per i fondi strutturali. Il Parlamento europeo aveva infatti deciso di arrivare fino all’approvazione in aula del nuovo regolamento ma di non chiudere nessun accordo con il Consiglio su di esso se non fosse anche stato concordato l’ammontare complessivo dei fondi per la politica di Coesione (Fondo regionale, Fondo sociale, Interreg, Fondo di coesione ecc.). Il negoziato infatti doveva tenere collegati strettamente la legislazione e gli importi da destinare alle diverse politiche. Tra queste spiccava il conflitto sul FEASR ( fondo europeo di sviluppo rurale) che secondo la Commissione sarebbe dovuto ritornare con la politica agricola e secondo il Parlamento rimanere parte di quella di sviluppo regionale, com’è attualmente.
La Commissione aveva anche proposto una forte riduzione dei fondi per la Coesione, considerata una politica vecchia, a favore di altre iniziative più recenti. Per il Parlamento invece serviva un bilancio pluriennale nettamente superiore a quello proposto dall’esecutivo (1,3% del Pil europeo, contro l’1,14) in modo da finanziare le nuove esigenze con nuove risorse. Su questo il confronto con il Consiglio non era neppure iniziato perché i governi avevano deciso di rinviare a ottobre il negoziato sul bilancio europeo dei prossimi sette anni. Negoziato che è in effetti iniziato pochi giorni fa su proposte dei governi di estrema modestia: i nordici propongono infatti di non superare l’1% del Pil (cioè di non aumentare per nulla la dotazione finanziaria dell’Unione, malgrado le nuove competenze che ad essa si vogliono attribuire o lo sono già state, come ad esempio la cooperazione strutturata per la difesa comune, la lotta al cambiamento climatico e il green new deal, lo sviluppo digitale dell’economia europea, oltre a quella di una gestione comune delle politiche di asilo, di protezione delle frontiere e di aiuto allo sviluppo dell’Africa.
Senza risorse, in particolare senza risorse proprie che possano derivare da imposte su fenomeni a carattere transnazionale su cui poco o nulla possono i governi, sarà impossibile rispondere alle tante domande di intervento, così i giornali potranno continuare a titolare: Ma che cosa fa l’Europa?, sui temi più diversi dimenticando che, senza competenze e risorse e con i governi in continua rissa fra di loro, il declino irreversibile del nostro continente non potrà che continuare. Di questa tirchieria degli Stati, che invece pretendono di continuare ad aumentare le proprie spese in deficit, con risultati scarsissimi per lo sviluppo dei propri paesi, rischiano di fare le spese le due Politiche storiche dell’Unione, quella agricola, che ha salvato e rilanciato l’agricoltura nel nostro continente ma che oggi dovrebbe contare sulle risorse necessarie a una decisa svolta ecologica, e quella di sviluppo regionale, considerata l’unica politica di sviluppo di successo al mondo. Forse perché ha usato, senza sapere che sarebbero state oggetto persino di un premio Nobel per l’economia, non delle politiche teoriche ma delle politiche sperimentali, basate sul confronto delle migliori pratiche e dei migliori risultati. E che è la politica che dovrebbe sostenere concretamente lo sforzo dei territori verso il new deal ecologico. Poiché tuttavia PAC e Politica regionale sono considerate politiche del passato il rischio, contenuto anche nella proposta della Commissione, è che si cerchino al loro interno quelle risorse per le nuove politiche che mancherebbero senza fondi aggiuntivi.
Eppure nella nuova programmazione ci sono molte novità interessanti, particolarmente in quella approvata dal Parlamento europeo. Una per tutte, oltre naturalmente alla svolta ecologica, la possibilità di tagliare i fondi a quei paesi che non rispettano le regole democratiche o che non danno applicazione agli accordi comuni. Regola che il nostro paese ha chiesto a gran voce. Aspettiamo di sapere quale sarà la posizione del nostro governo su queste fondamentali sfide europee per i prossimi anni.
Posted on: 2019/10/18, by : admin
La Commissione aveva anche proposto una forte riduzione dei fondi per la Coesione, considerata una politica vecchia, a favore di altre iniziative più recenti. Per il Parlamento invece serviva un bilancio pluriennale nettamente superiore a quello proposto dall’esecutivo (1,3% del Pil europeo, contro l’1,14) in modo da finanziare le nuove esigenze con nuove risorse. Su questo il confronto con il Consiglio non era neppure iniziato perché i governi avevano deciso di rinviare a ottobre il negoziato sul bilancio europeo dei prossimi sette anni. Negoziato che è in effetti iniziato pochi giorni fa su proposte dei governi di estrema modestia: i nordici propongono infatti di non superare l’1% del Pil (cioè di non aumentare per nulla la dotazione finanziaria dell’Unione, malgrado le nuove competenze che ad essa si vogliono attribuire o lo sono già state, come ad esempio la cooperazione strutturata per la difesa comune, la lotta al cambiamento climatico e il green new deal, lo sviluppo digitale dell’economia europea, oltre a quella di una gestione comune delle politiche di asilo, di protezione delle frontiere e di aiuto allo sviluppo dell’Africa.
Senza risorse, in particolare senza risorse proprie che possano derivare da imposte su fenomeni a carattere transnazionale su cui poco o nulla possono i governi, sarà impossibile rispondere alle tante domande di intervento, così i giornali potranno continuare a titolare: Ma che cosa fa l’Europa?, sui temi più diversi dimenticando che, senza competenze e risorse e con i governi in continua rissa fra di loro, il declino irreversibile del nostro continente non potrà che continuare. Di questa tirchieria degli Stati, che invece pretendono di continuare ad aumentare le proprie spese in deficit, con risultati scarsissimi per lo sviluppo dei propri paesi, rischiano di fare le spese le due Politiche storiche dell’Unione, quella agricola, che ha salvato e rilanciato l’agricoltura nel nostro continente ma che oggi dovrebbe contare sulle risorse necessarie a una decisa svolta ecologica, e quella di sviluppo regionale, considerata l’unica politica di sviluppo di successo al mondo. Forse perché ha usato, senza sapere che sarebbero state oggetto persino di un premio Nobel per l’economia, non delle politiche teoriche ma delle politiche sperimentali, basate sul confronto delle migliori pratiche e dei migliori risultati. E che è la politica che dovrebbe sostenere concretamente lo sforzo dei territori verso il new deal ecologico. Poiché tuttavia PAC e Politica regionale sono considerate politiche del passato il rischio, contenuto anche nella proposta della Commissione, è che si cerchino al loro interno quelle risorse per le nuove politiche che mancherebbero senza fondi aggiuntivi.
Eppure nella nuova programmazione ci sono molte novità interessanti, particolarmente in quella approvata dal Parlamento europeo. Una per tutte, oltre naturalmente alla svolta ecologica, la possibilità di tagliare i fondi a quei paesi che non rispettano le regole democratiche o che non danno applicazione agli accordi comuni. Regola che il nostro paese ha chiesto a gran voce. Aspettiamo di sapere quale sarà la posizione del nostro governo su queste fondamentali sfide europee per i prossimi anni.
Posted on: 2019/10/18, by : admin