I necessari “bla bla bla” di Glasgow e il nostro futuro

di Mercedes Bresso|

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Le tante cose promesse (tra contraddizioni e limiti) a Glasgow, che ora devono essere avviate a realizzazione, possono essere classificate in due grandi categorie: quelle che sono responsabilità dei singoli Stati e dei loro cittadini e quelle che necessitano un impegno più ampio di tutti i paesi o di gruppi di essi. Sui secondi (cioè sui grandi beni comuni, come l’aria, l’acqua dolce, gli oceani) interverrò più avanti, mentre sui primi vorrei avanzare una serie di proposte operative su come noi italiani potremmo provare a rispettare gli impegni presi, usando al meglio i fondi del PNRR (il Recovery Fund europeo, secondo il quale il 40% delle risorse deve essere destinato alla lotta al cambiamento climatico), quelli strutturali dell’UE e le molte risorse aggiuntive per investimenti che il governo ha stanziato.

Le strade per l’uscita dai combustibili fossili

Comincerò dall’energia che è indispensabile per ogni attività economica e di vita, fin dall’antichità, quando per procurarsi legno da ardere e da opera i popoli del Mediterraneo disboscarono la maggior parte delle loro montagne. È la disponibilità di energia a costi contenuti che determina il progresso delle civiltà e ciò è tanto più vero ai giorni nostri: se l’energia elettrica venisse a mancare, anche solo per alcuni giorni, tutto il nostro mondo basato sulla connessione e sul movimento continuo di cose e persone, tracollerebbe e i problemi creati dall’aumento di gas e combustibili in questi giorni non fanno che confermarlo.

Per accelerare l’uscita dai combustibili fossili non ci sono che due strade: o il ritorno al nucleare (molto improbabile per l’Italia e molto rischioso) o un paziente lavoro per creare un mix di rinnovabili che ci consenta non solo di fornire elettricità e calore alle famiglie e alle piccole imprese, ma anche di avere la disponibilità di uno «zoccolo» stabile di produzione elettrica per le grandi utenze e per i sistemi di trasporto e per garantire i fabbisogni di base. Iniziamo dalle piccole e medie utenze: questo è il dominio appropriato del solare, del piccolo eolico, delle pompe di calore che sfruttino il calore estratto dall’acqua o dall’aria e dal suolo (geotermia a bassa entalpia).1 Oltre che naturalmente del risparmio ottenibile con una elevata efficienza energetica degli edifici.

Proposta: commissari ad hoc per la transizione energetica

È anche il campo in cui le politiche sono esitanti, si veda il super bonus al 110% che non è riuscito a decollare a causa delle pastoie burocratiche. Se vogliamo massicciamente isolare le case, le fabbriche, gli uffici, coprire i tetti con pannelli solari, ecc., occorrono regole semplicissime, finanziamenti e accordi con le banche per coprire con credito la parte non sovvenzionata. E serve moltissima formazione dei tecnici, dei progettisti e degli installatori, oltre alla creazione di imprese per produrre i materiali, evitando così di importare tutto. Secondo me sarebbero utili dei commissari incaricati, nei diversi settori, di programmare e coordinare gli interventi e di aiutare tutti i soggetti coinvolti ad accelerarne la realizzazione. Occorre però evitare che il costo dell’energia sia trasferito dalle società fornitrici sui servizi di connessione, altrimenti non si tradurrà in risparmio per famiglie e imprese.

Il secondo grande tema è quello dei trasporti: al momento l’orientamento sembra essere che auto, moto, motocicli, monopattini, dovranno utilizzare motori elettrici, mentre i mezzi più grandi potranno essere elettrici o a idrogeno. Ciò significa migliorare le batterie, per durata della carica ma anche per riciclabilità, creare un numero sufficiente di stazioni di ricarica veloce ma, soprattutto, garantire che l’elettricità che mettiamo nelle nostre auto sia da fonti rinnovabili, altrimenti il bilancio ambientale sarebbe negativo: bruciare petrolio in una centrale termica per produrre elettricità per caricare le batterie di un’auto, scarica in atmosfera più CO2 del mettere la benzina in un motore a scoppio.

Perché allora non utilizzare gli assi autostradali per coprirli di pannelli e produrre l’energia pulita necessaria ai veicoli che transiterebbero al di sotto? Energia che potrebbe venire trasportata a centrali collocate lungo quegli stessi assi, che la trasformerebbero in idrogeno o la distribuirebbero alle auto nelle stazioni di ricarica lungo le autostrade. Interessanti esperimenti sono anche stati fatti per coprire di pannelli solari molte produzioni agricole, soprattutto quelle che spesso sono in serra, evitando di sprecare terreno agricolo e aumentando i redditi degli agricoltori.

Riforestazione e potenziamento dei vivai

Poiché molto opportunamente a Glasgow si è parlato di fissare una parte della CO2 in eccesso tramite una massiccia riforestazione (da un rapido calcolo l’Italia dovrebbe piantare di qui al 2030, poco meno di un miliardo di alberi all’anno per rispettare l’impegno preso), si potrebbero usare la aree di rispetto delle autostrade a questo scopo, creando grandi corridoi verdi ai loro lati. Naturalmente prima occorre incrementare i vivai forestali. Si potrebbe anche pensare a un servizio civile dei giovani per questo grande progetto, così anche loro, oltre a ritrovarsi solo nella protesta, potrebbero fare qualcosa di concreto.

Restano l’Eolico e la geotermia. Occorre una mappatura di tutte le aree a forte e stabile ventosità e particolarmente di tutte le opportunità per produrre energia off shore.

Ma occorre cambiare atteggiamento verso le grandi pale argentate, che sono di certo più belle dell’infinità di piloni e cavi che inondano il nostro paesaggio (provate a farci caso) e che dovremmo guardare con la simpatia dovuta alle nostre più preziose alleate per ridurre la CO2: i tempi di autorizzazione devono essere corti e certi perché il tempo è poco! La geotermia è una straordinaria opportunità: all’interno della Terra brucia un fuoco quasi eterno per la nostra scala temporale: in molti luoghi il fuoco è a minore profondità e può già essere sfruttato e in molti paesi sono state avviate ricerche sistematiche delle opportunità esistenti. Se si riuscisse a usarla bene sarebbe anche una fonte non variabile come le altre rinnovabili. In Svizzera stanno anche studiando la possibilità di coprire di pannelli le grandi dighe montane: con la loro energia si potrebbe riportare in alto l’acqua turbinata e aumentare la capacità produttiva delle centrali idroelettriche.

Coordinare gli interventi per la riduzione delle emissioni

Quelli che ho portato sono solo degli esempi delle tante cose che si possono fare per passare dal “bla bla bla” all’azione concreta. A mio avviso ci manca quello che era invece iniziato dopo Rio ’92 (dove fu firmata la convenzione per contrastare il cambiamento climatico) cioè le Agende 21, che in seguito sono state progressivamente abbandonate. Serve cioè una programmazione a livello statale e, in cascata, regionale, provinciale, locale, degli interventi necessari per far diventare le comunità autonome dal punto di vista energetico e per realizzare gli interventi necessari ai diversi livelli. Ciò vale ovviamente anche per tutti gli altri interventi di protezione ambientale. Riscoprire la necessità di una programmazione intelligente per un progetto delle dimensioni della transizione ecologica è essenziale: tanti interventi non coordinati non possono produrre un risultato enorme come quello per cui ci siamo impegnati.

Ai politici, dopo il bla bla che non era evitabile (ai meeting si parla) spetta ora il compito di avviare un programma chiaro e adeguato delle azioni da fare, delle risorse necessarie, del fabbisogno di competenze e di capacità produttive. Ognuno al proprio livello di responsabilità, coordinandosi con quelli superiori. E anche ai cittadini, dopo il momento della protesta, spetta ora il compito di partecipare attivamente a dare gambe, braccia e teste al futuro che avremo disegnato insieme. _______