I primi venti giorni di Mario Draghi
di Claudio Artusi |
|
Confesso di seguire con una certa ansia, dopo il 12 febbraio, data in cui Mario Draghi ha sciolto la riserva, gli atti di questo governo, perché è sempre molto rischioso caricare una persona, per quanto brava, di una attesa quasi messianica. La forza di Draghi è attualmente, oltre che la sua esperienza e la sua autorevolezza, la gravissima situazione, non solo sanitaria, del Paese. Sono fiducioso che, anche alla luce delle scelte degli ultimi giorni, il piano vaccini farà un bel salto in avanti e che all’inizio dell’estate per noi comincerà una discesa analoga a quella iniziata in Inghilterra. Ma dopo?
Il MES purtroppo è scomparso dal nostro orizzonte. Alla macchina per sviluppare il Recovery plan chi ci sta lavorando e con quali gradi di libertà? Quando e cosa leggeremo sui dossier più caldi come Alitalia, ILVA, Società Autostrade? Il blocco dei licenziamenti presto dovrà terminare (maggio?). E allora chi e come accompagnerà i nuovi disoccupati all’approdo di un nuovo lavoro? Capitolo scuola: come si leniranno i danni di un altro anno così tormentato? Ancora. La sanità, che sarà senz’altro oggetto di una profonda riflessione, inevitabilmente non dovrà fare i conti con l’autonomia regionale e col titolo V della Costituzione?
Draghi è condannato ad essere l’uomo della provvidenza ed ha davanti a sé non più di quattro mesi per sciogliere questi ed altri nodi. Ora, non mi piace pensare “dopo di lui il diluvio”, ma questo è il sentimento diffuso tra la collettività. Se la palude parlamentare e i corpi separati dello Stato gli fossero di qualche impedimento, c’è da domandarsi con un brivido – sia chiaro – se non sarebbe meglio sperimentare una qualche forma di deficit di democrazia, piuttosto che vederlo risucchiare nei gorghi della competizione elettorale. Per questa ragione – più che valida – Draghi non deve avere un futuro, ma solo un presente, questo presente, e dovrà essere giudicato dalla storia e non dai sondaggi. Dovrà scegliere e di conseguenza dividere, come ho già sostenuto in un precedente articolo su La Porta di Vetro. Certo, la sua popolarità rischierà di calare. Ma, soltanto allora saremo più certi che è l’ Homo novus! Al momento, la sua popolarità è ancora troppo alta…
Posted on: 2021/03/03, by : admin
Il MES purtroppo è scomparso dal nostro orizzonte. Alla macchina per sviluppare il Recovery plan chi ci sta lavorando e con quali gradi di libertà? Quando e cosa leggeremo sui dossier più caldi come Alitalia, ILVA, Società Autostrade? Il blocco dei licenziamenti presto dovrà terminare (maggio?). E allora chi e come accompagnerà i nuovi disoccupati all’approdo di un nuovo lavoro? Capitolo scuola: come si leniranno i danni di un altro anno così tormentato? Ancora. La sanità, che sarà senz’altro oggetto di una profonda riflessione, inevitabilmente non dovrà fare i conti con l’autonomia regionale e col titolo V della Costituzione?
Draghi è condannato ad essere l’uomo della provvidenza ed ha davanti a sé non più di quattro mesi per sciogliere questi ed altri nodi. Ora, non mi piace pensare “dopo di lui il diluvio”, ma questo è il sentimento diffuso tra la collettività. Se la palude parlamentare e i corpi separati dello Stato gli fossero di qualche impedimento, c’è da domandarsi con un brivido – sia chiaro – se non sarebbe meglio sperimentare una qualche forma di deficit di democrazia, piuttosto che vederlo risucchiare nei gorghi della competizione elettorale. Per questa ragione – più che valida – Draghi non deve avere un futuro, ma solo un presente, questo presente, e dovrà essere giudicato dalla storia e non dai sondaggi. Dovrà scegliere e di conseguenza dividere, come ho già sostenuto in un precedente articolo su La Porta di Vetro. Certo, la sua popolarità rischierà di calare. Ma, soltanto allora saremo più certi che è l’ Homo novus! Al momento, la sua popolarità è ancora troppo alta…
Posted on: 2021/03/03, by : admin