Il Coronavirus visto dall’Europa

di Davide Rigallo |

|

Sull’emergenza COVID-19, le Conclusioni1 del Presidente Charles Michel al Vertice straordinario del Consiglio europeo di ieri (il primo della storia in videoconferenza) mantengono, purtroppo, dei margini ancora aleatori su una materia che, per la sua gravità, avrebbe richiesto una maggiore tempestività decisionale e un più efficace coordinamento fra stati. Quanto questi margini potranno assottigliarsi, lo sapremo solo nella prossimo consesso del 26-27 marzo, quando il Consiglio sarà chiamato a valutare (e, nelle intenzioni, a implementare) i primi provvedimenti adottati dalla Commissione europea. La quale, ieri, martedì 10 marzo, per bocca della sua Presidente, Ursula Von der Leyen, si è affrettata subito a comunicarli alla stampa2.

Tra le proposte che troviamo elencate per fronteggiare l’emergenza epidemica e le sue conseguenze, vi sono:
1) la messa a disposizione di 140 milioni di euro per ricerche su vaccini, diagnosi e terapie mediche;
2) la creazione di un fondo (Corona Response Investment Initiative) di 25 miliardi di euro a “sostegno dei sistemi sanitari, delle piccole e medie imprese, del mercato del lavoro di altri settori vulnerabili delle nostre economie”;
3) lo stanziamento immediato di 7,5 miliardi di euro dal corrente bilancio europeo per favorire l’avvio del fondo;
4) il pieno uso della flessibilità esistente nel patto di stabilità e crescita.

Il comunicato della Commissione europea non si limita a enunciare le misure, ma illustra anche le modalità di funzionamento del fondo, indispensabili per prevedere l’impatto dei finanziamenti sui settori interessati (in primis, quello medico).
Il Corona Response Investment Initiative funzionerà attraverso il meccanismo dei Fondi strutturali europei, rispetto al quale, nella prossima settimana, Consiglio e Parlamento europeo saranno chiamati ad apportare le necessarie modifiche al suo Regolamento. Tali modifiche permetteranno:
1) alla Commissione europea di rinunciare, per il 2020, all’obbligo di chiedere il rimborso dei prefinanziamenti provenienti dai fondi strutturali attualmente non ancora investiti dai singoli stati. A tale deroga, corrisponderà il vincolo per gli stati di utilizzare tali importi per accelerare i loro investimenti nell’ambito dei fondi strutturali, nonché di utilizzarli come cofinanziamento necessario (in condizioni ordinarie, a carico degli stati) per ricevere le successive tranche dei finanziamenti strutturali.
2) Di adattare i programmi operativi affinché i finanziamenti siano diretti a quei settori maggiormente in sofferenza per via dell’emergenza COVID-19.
Per ottimizzare i tempi di attuazione, infine, la Commissione prevede l’istituzione di una task-force che opererà direttamente con gli stati membri, al fine di garantire una rapida erogazione delle risorse stanziate.

Malgrado le assicurazioni rese dalla Commissione europea, l’attuazione del Corona Response Investment Initiative suscita alcune, inevitabili, domande. La principale – particolarmente urgente per un paese come l’Italia, non sempre virtuoso nell’impiego dei fondi Ue – è se il meccanismo europeo dei Fondi strutturali possa trovare, nelle strutture nazionali, le capacità amministrative necessarie per un loro utilizzo immediato a fronte dell’emergenza in atto. Sappiamo infatti bene come la filiera che collega la Commissione europea ai Governi, quindi alle Regioni e agli Enti locali, necessiti di procedure complesse che implicano, quasi sempre, tempi medio-lunghi, con l’effetto di diluire gli effetti dei finanziamenti sui territori e sui settori in sofferenza: diluizioni che, in un’emergenza come quella del COVID-19, rischierebbero di risultare esiziali.

Una seconda osservazione riguarda invece il Patto di stabilità e crescita (PSC), che dal 1997 regola il controllo delle politiche di bilancio degli Stati membri, al fine di mantenere fermi i requisiti per l’adesione all’Ue. Di fronte all’emergenza in atto, ci si chiede, quanto potrà essere ampio il margine di flessibilità nel quadro del Patto? Rispetto a questo punto, la dichiarazione della Presidente Von der Leyen appare chiara: “faremo pieno uso della flessibilità esistente nel patto di stabilità e crescita”. Nessuna revisione strutturale del Patto dunque (che richiederebbe la revisione dei Trattati fondamentali) , ma un’applicazione di ciò che è già previsto in caso di situazioni emergenziali.

Vedremo nei prossimi giorni quanto di ciò che è stato prospettato riceverà attuazione e in che modo. Complessivamente, i dubbi che sentiamo di sollevare rimandano a un limite che riguarda, oggi, tanto l’Unione europea, quanto i suoi stati membri: ossia, l’incapacità di concepire politiche organiche, di lungo periodo, che garantirebbero una migliore gestione di fenomeni che ci colgono immancabilmente impreparati. Se volessimo considerare in parallelo tre fenomeni urgenti che, oggi, toccano l’Ue – coronavirus, ambiente, flussi migratori -, noteremmo, infatti, che tutti vengono affrontati mediante approcci meramente “emergenziali”, con provvedimenti hic et nunc, temporanei, precari. La stessa soluzione del “contenimento” sociale – ancorché necessaria per frenare il contagio – non sembra sottrarsi a questa logica. O per lo meno: vi rientra, laddove non si pensi, contemporaneamente e preventivamente, a scelte politiche strutturali capaci di garantire una semper adeguati finanziamenti per il rafforzamento di servizi essenziali come quelli sanitari. Per servizi, cioè, in cui ne va delle vite delle persone.



__________