Il crollo del Libano schiacciato tra Usa e Iran
di Germana Tappero Merlo|
|Il Libano soffre, e troppo, di caos e di violenza. Non basta più in queste ore la ripresa a singhiozzo di fornitura elettrica: oltre alla semiparalisi economica e commerciale, vi è un’emergenza sanitaria data da un numero elevato di persone intossicate da alimentazione, per via di cibi mal conservati per mancata refrigerazione o per l’uso di acqua non potabile, tutto dovuto alla carenza di elettricità. Inevitabili conseguenze di quanto sta avvenendo da mesi, addirittura da oltre un anno in quella che ormai è vista come una discesa verso il baratro economico, finanziario, sociale e ora anche di sicurezza.1 E poi gli scontri del 14 ottobre, con cecchini che sparavano dai tetti del quartiere Tayouneh-Badaro di Beirut verso manifestanti sciiti Hezbollah e Amal che protestavano perché non era stata accettata la loro richiesta di sollevare il giudice (cristiano) Tariq al-Bitar, considerato politicizzato e fazioso, dall’indagare sull’esplosione al porto di quella città del 4 agosto 2020: un giudice che, tuttavia, gode del sostegno dei famigliari delle oltre 200 vittime e migliaia di feriti, che ancora attendono chiarimenti e giustizia di quanto avvenne allora.
Ai cecchini sui tetti, giovedì scorso, sono seguite una risposta armata immediata degli esponenti sciiti e un incitamento alla vendetta che ha fatto, e sta ancora facendo, temere il ritorno agli anni bui e sanguinari della lunga guerra civile (1975-1990). Ad invocare la vendetta armata, il figlio poco più che adolescente di uno dei manifestanti hezbollah uccisi, che incitava la folla nell’immediatezza dei funerali dove, manco a dirlo, si consumava l’ennesima sparatoria fra esponenti di milizie contrapposte. Una normalità, quella libanese, da non avere addirittura più l’attenzione che meriterebbe da parte dei media internazionali. Degli scontri con i cecchini con 7 morti (di cui 3 esponenti Hezbollah e Amal, gli altri cittadini comuni) per un paio di giorni vi è stato un rimpallo di accuse di responsabilità, senza venirne a capo e soprattutto senza sapere chi fossero realmente quei tiratori, come e chi avesse posto fine al loro criminale tiro al bersaglio e, soprattutto, che fine avessero fatto. Non è seguita alcuna indagine forense sui corpi delle vittime, almeno per capire da quale arma provenissero i colpi inferti: forze dell’esercito regolare? Oppure armi appartenenti a dimostranti dell’estrema destra (cristiana) che testimoni affermano di aver visto? Omertà della gente nel parlare per timore di una repressione violenta oppure censura da parte dell’esercito regolare circa quei tiratori appostati sui tetti? Di certo l’ennesima palese dimostrazione di incompetenza delle forze militari e di sicurezza libanesi, nel controllare anche solo il territorio urbano della capitale. Nulla è chiaro, se non che tutto sta ad indicare caos, malgoverno e oppressione, in una deriva di cui si teme la violenza inter-confessionale, con buona dose, però, anche di regie esterne. Se per Hezbollah si guarda a Teheran, per i cristiani-maroniti a Washington.
Nel frattempo, infatti, in queste ore convulse alla ricerca di verità da parte di osservatori locali circa i fatti del quartiere Tayouneh-Badaro, in rete appariva un video da telecamere di sicurezza poste lungo quelle strade, in cui si vedeva un soldato dell’esercito libanese uccidere un manifestante sciita: una notizia seguita da una parziale ammissione, obtorto collo, dei vertici delle forze armate regolari che si affrettavano a dichiarare di aprire un’indagine interna. Questa notizia, se confermata, getterebbe benzina sul fuoco nei rapporti già tesissimi fra Hezbollah e alti comandi delle Forze Armate (regolari, è sempre bene sottolinearlo) libanesi, guidate dal generale cristiano Joseph Kalil Aoun: proprio un paio di settimane fa, Hashem Safi al-Din, il capo del Consiglio Esecutivo degli sciiti Hezbollah (perché, come già evidenziato più volte, gli Hezbollah filo-iraniani hanno strutture non solo politiche, ma anche di governo e soprattutto di sicurezza proprie, al pari di uno Stato dentro il Libano) aveva affermato che la sua organizzazione stava lavorando per “espellere l’ingerenza e l’influenza degli USA dalle istituzioni statali, in particolare dall’esercito libanese”, ad avviso degli hezbollah in cima alle liste delle istituzioni sotto forte influenza statunitense dopo la Banca Centrale, alcuni dipartimenti della sicurezza, amministrazioni statali e il ministero dello sviluppo, tutti infiltrati, appunto, da yes-men statunitensi.
Non certo per strana coincidenza, la manifestazione del 14 ottobre, con cecchini appostati e morti fra civili, avveniva in concomitanza della visita a Beirut di Victoria Nuland, Vice Segretario degli Affari Politici statunitensi2 che, fra gli altri impegni, comunicava la promessa di un finanziamento extra di 67 milioni di dollari proprio alle forze armate libanesi. Ora, secondo alcuni osservatori, sebbene gli Stati Uniti abbiano rivolto la loro attenzione securitaria verso il contenimento della Cina, partendo dalle acque del Mar Cinese Meridionale, con relative questioni delle Senkaku e di Taiwan, da cui l’alleanza strategica e militare AUKUS3, proprio Washington e la stessa amministrazione Biden non lascerebbero di fatto il Vicino Oriente senza prima limitare il ruolo di potenza regionale dell’Iran e dei suoi accoliti hezbollah. E l’azione non passerebbe solo attraverso i teatri siriano ed iracheno (quest’ultimo, fra l’altro, reduce da elezioni interne non più così favorevoli alla presenza delle milizie sciite iraniane) quanto, invece, proprio attraverso pressioni statunitensi su apparati del Paese dei cedri, come lo stesso contestato-amato giudice Tariq al-Bitar che, secondo fonti anonime libanesi, avrebbe incontrato segretamente rappresentanti US.
Speculazioni di parte, forse, almeno fino a quando tutto ciò verrà dimostrato o smentito. Di fatto, è proprio la natura dei rapporti interstatali ed internazionali di tutti i protagonisti di quella regione ad essere caratterizzata sempre da una torbidezza permanente, favorita da divisioni di clan, confessionale ed etniche, regolarmente aizzate le une contro le altre per giochi di potenza anche extraregionale. Le conseguenze, ormai è più che noto, ricadono su una quotidianità di popolazioni civili che ormai da decenni vivono in una apparente conciliazione nazionale, quando va bene; altrimenti è una belligeranza persistente, incostante perché a vari livelli di intensità, ma mai tregua e cessate il fuoco duraturo e definitivo. E il Libano, con le sue ultime cronache violente, ne è la prova. Questo è il Vicino Oriente, e per quanto si rivolga lo sguardo altrove, al lontano Oriente e ai suoi potenti e agguerriti protagonisti, tutte le partite più infide, ambigue, segrete e pericolose si disputano in questa regione e i loro effetti, per proiezione dal gioco facile vista la prossimità geografica, giungono sino a noi, mettendo a rischio anche la nostra sicurezza.
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Ai cecchini sui tetti, giovedì scorso, sono seguite una risposta armata immediata degli esponenti sciiti e un incitamento alla vendetta che ha fatto, e sta ancora facendo, temere il ritorno agli anni bui e sanguinari della lunga guerra civile (1975-1990). Ad invocare la vendetta armata, il figlio poco più che adolescente di uno dei manifestanti hezbollah uccisi, che incitava la folla nell’immediatezza dei funerali dove, manco a dirlo, si consumava l’ennesima sparatoria fra esponenti di milizie contrapposte. Una normalità, quella libanese, da non avere addirittura più l’attenzione che meriterebbe da parte dei media internazionali. Degli scontri con i cecchini con 7 morti (di cui 3 esponenti Hezbollah e Amal, gli altri cittadini comuni) per un paio di giorni vi è stato un rimpallo di accuse di responsabilità, senza venirne a capo e soprattutto senza sapere chi fossero realmente quei tiratori, come e chi avesse posto fine al loro criminale tiro al bersaglio e, soprattutto, che fine avessero fatto. Non è seguita alcuna indagine forense sui corpi delle vittime, almeno per capire da quale arma provenissero i colpi inferti: forze dell’esercito regolare? Oppure armi appartenenti a dimostranti dell’estrema destra (cristiana) che testimoni affermano di aver visto? Omertà della gente nel parlare per timore di una repressione violenta oppure censura da parte dell’esercito regolare circa quei tiratori appostati sui tetti? Di certo l’ennesima palese dimostrazione di incompetenza delle forze militari e di sicurezza libanesi, nel controllare anche solo il territorio urbano della capitale. Nulla è chiaro, se non che tutto sta ad indicare caos, malgoverno e oppressione, in una deriva di cui si teme la violenza inter-confessionale, con buona dose, però, anche di regie esterne. Se per Hezbollah si guarda a Teheran, per i cristiani-maroniti a Washington.
Nel frattempo, infatti, in queste ore convulse alla ricerca di verità da parte di osservatori locali circa i fatti del quartiere Tayouneh-Badaro, in rete appariva un video da telecamere di sicurezza poste lungo quelle strade, in cui si vedeva un soldato dell’esercito libanese uccidere un manifestante sciita: una notizia seguita da una parziale ammissione, obtorto collo, dei vertici delle forze armate regolari che si affrettavano a dichiarare di aprire un’indagine interna. Questa notizia, se confermata, getterebbe benzina sul fuoco nei rapporti già tesissimi fra Hezbollah e alti comandi delle Forze Armate (regolari, è sempre bene sottolinearlo) libanesi, guidate dal generale cristiano Joseph Kalil Aoun: proprio un paio di settimane fa, Hashem Safi al-Din, il capo del Consiglio Esecutivo degli sciiti Hezbollah (perché, come già evidenziato più volte, gli Hezbollah filo-iraniani hanno strutture non solo politiche, ma anche di governo e soprattutto di sicurezza proprie, al pari di uno Stato dentro il Libano) aveva affermato che la sua organizzazione stava lavorando per “espellere l’ingerenza e l’influenza degli USA dalle istituzioni statali, in particolare dall’esercito libanese”, ad avviso degli hezbollah in cima alle liste delle istituzioni sotto forte influenza statunitense dopo la Banca Centrale, alcuni dipartimenti della sicurezza, amministrazioni statali e il ministero dello sviluppo, tutti infiltrati, appunto, da yes-men statunitensi.
Non certo per strana coincidenza, la manifestazione del 14 ottobre, con cecchini appostati e morti fra civili, avveniva in concomitanza della visita a Beirut di Victoria Nuland, Vice Segretario degli Affari Politici statunitensi2 che, fra gli altri impegni, comunicava la promessa di un finanziamento extra di 67 milioni di dollari proprio alle forze armate libanesi. Ora, secondo alcuni osservatori, sebbene gli Stati Uniti abbiano rivolto la loro attenzione securitaria verso il contenimento della Cina, partendo dalle acque del Mar Cinese Meridionale, con relative questioni delle Senkaku e di Taiwan, da cui l’alleanza strategica e militare AUKUS3, proprio Washington e la stessa amministrazione Biden non lascerebbero di fatto il Vicino Oriente senza prima limitare il ruolo di potenza regionale dell’Iran e dei suoi accoliti hezbollah. E l’azione non passerebbe solo attraverso i teatri siriano ed iracheno (quest’ultimo, fra l’altro, reduce da elezioni interne non più così favorevoli alla presenza delle milizie sciite iraniane) quanto, invece, proprio attraverso pressioni statunitensi su apparati del Paese dei cedri, come lo stesso contestato-amato giudice Tariq al-Bitar che, secondo fonti anonime libanesi, avrebbe incontrato segretamente rappresentanti US.
Speculazioni di parte, forse, almeno fino a quando tutto ciò verrà dimostrato o smentito. Di fatto, è proprio la natura dei rapporti interstatali ed internazionali di tutti i protagonisti di quella regione ad essere caratterizzata sempre da una torbidezza permanente, favorita da divisioni di clan, confessionale ed etniche, regolarmente aizzate le une contro le altre per giochi di potenza anche extraregionale. Le conseguenze, ormai è più che noto, ricadono su una quotidianità di popolazioni civili che ormai da decenni vivono in una apparente conciliazione nazionale, quando va bene; altrimenti è una belligeranza persistente, incostante perché a vari livelli di intensità, ma mai tregua e cessate il fuoco duraturo e definitivo. E il Libano, con le sue ultime cronache violente, ne è la prova. Questo è il Vicino Oriente, e per quanto si rivolga lo sguardo altrove, al lontano Oriente e ai suoi potenti e agguerriti protagonisti, tutte le partite più infide, ambigue, segrete e pericolose si disputano in questa regione e i loro effetti, per proiezione dal gioco facile vista la prossimità geografica, giungono sino a noi, mettendo a rischio anche la nostra sicurezza.
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1
https://www.laportadivetro.org/libano-emergenza-umanitaria-e-crisi-energetica-i-tentacoli-di-teheran-sul-medio-oriente/
2https://lb.usembassy.gov/media-availability-with-under-secretary-of-state-for-political-affairs-victoria-nuland/
3https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2021/08/model_edr.pdf”
Posted on: 2021/10/17, by : admin
2https://lb.usembassy.gov/media-availability-with-under-secretary-of-state-for-political-affairs-victoria-nuland/
3https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2021/08/model_edr.pdf”
Posted on: 2021/10/17, by : admin