Il destino e il mistero sulle spalle di Francesco e dell’umanità ferita

di Luca Rolandi |

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Un gigante nella piazza vuota. Un grido di supplica, una preghiera silenziosa, in una irreale piazza San Pietro. Il vecchio Jorge Mario Bergoglio, gesuita, papa Francesco da sette anni è l’icona dell’umanità ferita. Cina, Italia, Stati Uniti, Europa, Africa, Asia e America Latina. Il virus è il male invisibile che colpisce tutti, in modo democratico, ricchi, poveri, sfruttati e sfruttatori, buoni e cattivi. I numeri 30mila nel mondo, 10mila morti in Italia. Forse ancora di più: volti, storie, esistenze perdute. È vuota piazza San Pietro, ma anche la spianata del tempio e il Muro del pianto hanno solo le lacrime lontane dei suoi fedeli. Vuota anche per la prima volta la spianata della Kà ba di Medina, così i templi indù e buddisti in un silenzio assordate in cerca di un nirvana che possa consolare. Religione e male, umanità e sacro, divino e umano: in questo passaggio tutto si condensa e si rivela perché sono le domande ultime che richiamano ogni essere vivente credente o non credente.

Chi stringe la mano e chiude gli occhi alla vita di un malato, piange per averlo salvato, chi servendo un cliente o in coda presso un negozio pensa alla condizione assurda dell’umano, coloro che guidano un’ambulanza, a sirene spiegate, magari passando a lato del colonnato del Bernini mentre il pontefice alza il Santissimo Sacramento. Passaggi e elementi di un mondo in disarmo, in sofferenza come mai, negli ultimi decenni era stato. E lui Francesco diventa un Papa umano e quindi ancora più cristiano che si piega e prega per i tanti morti, anche molti religiosi, preti, sacerdoti di montagna e di città. Il Papa che era uscito dal loggiato per chiedere la benedizione del popolo il 13 marzo 2013 ora è solo, mentre il cielo piange, e il popolo soffre negli ospedali, lavora per alleviare il dolore dei malati e per dare sostentamento ai vivi ed è chiuso nelle proprie case, spesso tormentando la coscienza individuale di ognuno.

«Dio, non lasciarci in balia della tempesta»: Papa Francesco prega per la fine della pandemia sul sagrato di San Pietro in una piazza deserta e inondata dalla pioggia. Suggestione e istantanea, che è già storia ma che tormenta le menti e l’anima di tutti: «Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Tu hai cura di noi». Nell’atrio della basilica adora il Santissimo Sacramento e poi benedice «Urbi et orbi, la città e il mondo» con l’ostensorio. Il silenzio echeggia milioni di persone in preghiera con un bisogno universale di speranza.

Alla voce emozionata di Francesco si unisce il respiro affannoso dei malati in ospedale, il rantolo dei morenti, i sussurri nelle case, la speranza dei sopravvissuti, scrive l’amico giornalista Pier Giuseppe Accornero, prete cronista che riga le sue frasi con le lacrime per gli amici di una vita. E poi la preghiera per gli effetti di questa pandemia, la crisi economica, la fame che potrebbe portare se non si cambia radicalmente il modello di sviluppo e si restringono le disuguaglianze sociali, locali e mondiali e i ricordo per gli ultimi tra gli ultimi: abbandonati, in balia dei conflitti per cui chiede il cessate le armi, carcerati.

Nessuno è un numero per l’uomo e l’umanità, tanto meno nella dimensione di un Dio padre che accoglie tutti. In una dimensione laica il lutto e la morte non vanno rimossi allo stesso modo che in una scelta religiosa. Resta il mistero, il suo limite invalicabile ma anche il senso della speranza per continuare il cammino. San Paolo alla comunità di Corinto scriveva: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia”.




Posted on: 2020/03/29, by :