Il futuro di Bose, una comunità in sofferenza che deve ripartire
di Luca Rolandi |
|Della comunità di Bose tutti parlano, scrivono, si adombrano e addolorano, parteggiano e si scontrano, e magari ci sono anche coloro che sotto traccia festeggiano la fine di un sogno ecumenico. Oggi, al netto delle decisioni vaticane, della contrapposizione tra Enzo Bianchi, il fondatore, e Luciano Manicardi il successore, ci si dovrebbe interrogare, senza partigianerie e grida, che paradossalmente sono sterile dialettica tra pro e contro, quale sarà il futuro della comunità fondata nel 1965. Nessuno o pochi parlano delle decine di sorelle e fratelli che sono il presente e il futuro di questa avventura di cristiani o cattolici, non in contrapposizione, ma in dialogo con il mondo. Voci autorevoli e profonde si alzano, ma spesso se ne manifestano di altrettanto strumentali sulle responsabilità o meno del suo fondatore, mentre il Papa cerca di evitare la lacerazione e ad un tempo monsignor Amedeo Cencini deve applicare le regole canoniche. Insomma, in tutta questa vicenda manca la correzione fraterna, il passo indietro, il nascondimento del cristiano che si abbandona alla volontà di Dio, all’annullamento del proprio ego per dare spazio alla Parola di Dio e alla sua presenza. Non ci sono colpevoli e complotti ma solo tanta sofferenza, amarezza, incapacità di riportare alla luce quella serenità e armonia che nella esperienza monastica non è un dato acquisito ma una conquista quotidiana.
Tra le tante riflessioni c’è un passaggio molto interessante di un ex monaco di Bose, Riccardo Larini che scrive: “Bose, infatti, per certi versi è un unicum, non è il modello che tutti devono adottare, e ha mostrato evidenti lacune, in linea con le enormi difficoltà che ovunque si registrano laddove si cerca di fare vita comune in un mondo che anela alla comunità, ma deve fare i conti con profonde e doverosissime revisione degli ideali e delle forme comunitarie. Tutti a Bose sono chiamati a interrogarsi radicalmente sui loro fallimenti, e la comunità fondata da Enzo Bianchi in tal senso non è affatto immune da difetti o colpe anche importanti”. Dunque, è una riflessione senza idealizzazione, mitizzazioni, di una comunità di uomini e donne in cammino, fragili e vulnerabili come tutti.
La seconda riflessione profonda e capace di guardare alla storia della Chiesa e delle sue fratture, senza scomodare troppo le grandi tradizioni religiose dai padri della Chiesa agli ordini religiosi è del prof. Carlo Ossola, il quale in una lettera ad Avvenire scrive: “Occorre pensare che i grandi movimenti radicali nella Chiesa hanno avuto un séguito immediato assai tumultuoso: basti richiamarci al primo secolo dei francescani, spirituali, conventuali, fraticelli; un tal fiorire di Vite di Francesco che dopo neanche due generazioni san Bonaventura ebbe a doverle ricondurre a una sorta di “vulgata” compendiata nella Legenda maior e nella Legenda minor di san Francesco. La pluralità, se anche deriva in più rivoli, è un segno indubbio di fecondità. La comunità di Bose ha nel tempo interpretato, con fedele larghezza, il significato di “apostolo”: inviato; sono nate le fraternità di Ostuni, Cellole di San Gimignano, Assisi, Civitella; in questo continuando quella larga diaspora che è il segno primo delle origini cristiane: da Gerusalemme a Corinto, a Antiochia, a Efeso, a Roma. Si tratta ora di assumere la prova come una nuova, profetica, missione: un rinnovato, plurale, generoso, invio di esodo e promessa, che non riguardi uno opposto agli altri, ma tutti, tutti inviati”. E per chi credere pregare e per chi non crede o è in ricerca pensare e sperare, come ha scritto in un bellissimo reportage una giornalista francese de La Croix Monique Baujard “quando la regola monastica chiede di trattare ogni persona come Cristo, forse che il fondatore e gli altri tre esclusi non dovrebbero beneficiare dello stesso rispetto, della stessa attenzione, della stessa benevolenza che hanno sempre guidato l’accoglienza degli ospiti?”.
Morale: occorre ripartire da quel concetto evangelico del perdono e del ritorno, del lasciare qualcosa di sé, fosse anche tutto per l’amore degli altri che sono immagine di Cristo. Non sarà semplice. Si tratta di dare vita ad un lungo percorso di sofferenza spirituale e umana, ma se la comunità e i suoi tanti amici vogliono continuare a camminare nella storia e con Dio, dovranno farlo.
Posted on: 2021/02/23, by : admin
Tra le tante riflessioni c’è un passaggio molto interessante di un ex monaco di Bose, Riccardo Larini che scrive: “Bose, infatti, per certi versi è un unicum, non è il modello che tutti devono adottare, e ha mostrato evidenti lacune, in linea con le enormi difficoltà che ovunque si registrano laddove si cerca di fare vita comune in un mondo che anela alla comunità, ma deve fare i conti con profonde e doverosissime revisione degli ideali e delle forme comunitarie. Tutti a Bose sono chiamati a interrogarsi radicalmente sui loro fallimenti, e la comunità fondata da Enzo Bianchi in tal senso non è affatto immune da difetti o colpe anche importanti”. Dunque, è una riflessione senza idealizzazione, mitizzazioni, di una comunità di uomini e donne in cammino, fragili e vulnerabili come tutti.
La seconda riflessione profonda e capace di guardare alla storia della Chiesa e delle sue fratture, senza scomodare troppo le grandi tradizioni religiose dai padri della Chiesa agli ordini religiosi è del prof. Carlo Ossola, il quale in una lettera ad Avvenire scrive: “Occorre pensare che i grandi movimenti radicali nella Chiesa hanno avuto un séguito immediato assai tumultuoso: basti richiamarci al primo secolo dei francescani, spirituali, conventuali, fraticelli; un tal fiorire di Vite di Francesco che dopo neanche due generazioni san Bonaventura ebbe a doverle ricondurre a una sorta di “vulgata” compendiata nella Legenda maior e nella Legenda minor di san Francesco. La pluralità, se anche deriva in più rivoli, è un segno indubbio di fecondità. La comunità di Bose ha nel tempo interpretato, con fedele larghezza, il significato di “apostolo”: inviato; sono nate le fraternità di Ostuni, Cellole di San Gimignano, Assisi, Civitella; in questo continuando quella larga diaspora che è il segno primo delle origini cristiane: da Gerusalemme a Corinto, a Antiochia, a Efeso, a Roma. Si tratta ora di assumere la prova come una nuova, profetica, missione: un rinnovato, plurale, generoso, invio di esodo e promessa, che non riguardi uno opposto agli altri, ma tutti, tutti inviati”. E per chi credere pregare e per chi non crede o è in ricerca pensare e sperare, come ha scritto in un bellissimo reportage una giornalista francese de La Croix Monique Baujard “quando la regola monastica chiede di trattare ogni persona come Cristo, forse che il fondatore e gli altri tre esclusi non dovrebbero beneficiare dello stesso rispetto, della stessa attenzione, della stessa benevolenza che hanno sempre guidato l’accoglienza degli ospiti?”.
Morale: occorre ripartire da quel concetto evangelico del perdono e del ritorno, del lasciare qualcosa di sé, fosse anche tutto per l’amore degli altri che sono immagine di Cristo. Non sarà semplice. Si tratta di dare vita ad un lungo percorso di sofferenza spirituale e umana, ma se la comunità e i suoi tanti amici vogliono continuare a camminare nella storia e con Dio, dovranno farlo.
Posted on: 2021/02/23, by : admin