Mazzinghi, il guerriero, è sceso per l’ultima volta dal ring

di Michele Ruggiero|

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Il guerriero è sceso dal ring portando con sé i suoi ricordi che sono anche i nostri. Sandro Mazzinghi da Pontedera, classe 1938, ha fatto sognare tante generazioni di giovani, apprendisti boxeur e non. Apparteneva soprattutto a quella numerosa generazione cresciuta negli oratori o nei campi delle grandi metropoli progressivamente invase dal cemento, generazione generosa e attaccabrighe, che trovava normale regolare con i pugni (piccoli) un diverbio. Accenni di rissa in cui qualcuno si prendeva anche sul serio, mettendosi in guardia, convinto di imitare Sandro Mazzinghi che le suonava a Ralph Dupas, un pugile dal nome musicale con passaporto americano contro cui il guerriero aveva conquistato il titolo mondiale dei pesi superwelters.

Era il 1963. L’Italia aveva un’altra corona mondiale nella boxe, dopo quella appena sollevata dal mitico Duilio Loi, quelle di Mario D’Agata e Primo Carnera. Era l’Italia dei formidabili anni Sessanta che nella boxe si era distinta alle Olimpiadi di Roma con tre medaglie d’oro, quelle di Francesco Musso, Nino Benvenuti, Franco De Piccoli e altre medaglie di argento e di bronzo. Pugili di grande levatura. Ma Sandro Mazzinghi non era tra loro. Nel torneo preolimpico un certo Bossi di nome Carmelo si era frapposto tra lui e l’avventura romana. Quel Bossi, tecnico ed elegante, non era uno qualunque: avrebbe fatto molta strada e non soltanto a Roma, dove l’avrebbe sconfitto, ma per l’oro, l’americano Wilbert McClure e nel 1970 avrebbe battuto per il titolo mondiale dei superwelters un certo Freddie Little, a chiudere il cerchio della storia.

In quel di Pontedera a fine 1960, Sandro Mazzinghi cominciò a programmarsi, insieme con il fratello Guido, un talento della boxe inespresso, il futuro da professionista con tutta la rabbia che aveva in corpo. E ci riuscì così bene che in appena tre anni arrivò “Sul tetto del mondo”, come avrebbe scritto in una sua famosa autobiografia. Divenne campione del mondo dei superwelters la sera del 7 settembre 1963 al Vigorelli di Milano, dopo aver demolito Ralph Dupas, poi costretto ancora al tappeto nella rivincita mesi dopo a Sydney, nella capitale del Nuovo Galles in Australia. Da quel momento, Mazzinghi scese sempre invitto dalle dodici corde. Fino al 1965, fino al match che tutti gli italiani volevano, per potersi nuovamente dividere, come nella propria indole, come dai tempi dei guelfi e dei ghibellini, dei monarchici e i repubblicani, come per Coppi e Bartali.

Quella volta la rivalità si accese anche sul piano ideologico, tra Mazzinghi, toscanaccio di sinistra, e il suo rivale, Nino Benvenuti, bello ed elegante, studi classici, istriano di nascita, triestino di adozione, noto per le sue simpatie di destra. Vinse per due volte il Nino nazionale e il 1965 segnò la fine del primo Mazzinghi. Che rinacque pugilisticamente l’anno dopo per la seconda volta, in quel 1966 in cui Benvenuti consegnò a Seul la corona dei campione del mondo ad un sudcoreano duro come la roccia, Ki-Soo Kim.

La seconda vita di Mazzinghi coincise davvero con la caduta dell’altro, del “divo”, dell’imbattibile, che mai nella sua carriera aveva conosciuto prima di allora l’amarezza della sconfitta. Ki-soo Kim divenne il suo obiettivo che mise nel mirino il 26 maggio del 1968 a San Siro. I due salirono sul ring allestito sul prato di San Siro davanti a decine di migliaia di spettatori. Fu un match vibrante e brutale per 15 riprese che Mazzinghi vinse, ma che nello stesso tempo lo svuotò, lo deprivò di energie e di quella forza che l’aveva reso un autentico guerriero.

Nessuno se ne accorse, forse neppure lui. A metterlo davanti alla realtà fu il 25 ottobre del 1968 un pugile dal nickname raro nella boxe: “il professore”. Era Freddie Little e si muoveva sul quadrato con l’aria del docente che impartisce lezioni di vita. Il guerriero ne uscì ferito nel senso letterale del termine e frastornato. Un verdetto scandaloso gli regalò il “no contest” e la conservazione del titolo, non la rinascita di una terza vita pugilistica. Non fu una delusione, il suo ciclo di vittorie e k.o. era finito. Ma chi ama la boxe, la sua boxe, gli rimase comunque grato. Ed oggi che ci ha lasciato ci fa piacere scoprire che quelle immagini di lui “guerriero” anche dopo mezzo secolo non accennano a sbiadire.




Posted on: 2020/08/22, by :