Il saluto a Cesare Nosiglia, prete intellettuale degli ultimi
di Michele Ruggiero |
|Monsignor Cesare Nosiglia, 77 anni compiuti lo scorso 5 ottobre, lascia l’Arcidiocesi di Torino. Il suo magistero è durato undici anni e quattro mesi. A nominarlo fu papa Benedetto XVI, ma a confermarlo per altri due anni nell’agosto del 2019, è stato papa Francesco. Una firma quasi dettata dalla necessità di placare la ridda di voci che circolava attorno al nome del suo successore. Ma nella scacchiera mentale del Pontefice, la casella di Torino doveva rimanere ancora occupata da quel confratello mite e gentile, eppure ostinato nel mettere al centro del mondo gli ultimi, i diseredati, insieme a coloro che, perduto il posto di lavoro (a Torino una prassi, non più un’eccezione) temono di perdere anche la dignità.
Non a caso, la parola dignità echeggia vigorosa, sottolineata con passione evangelica, nel messaggio che lo stesso Nosiglia invia al presidente Mattarella, nel giorno della sua rielezione al Colle. Ha scritto: “Per 18 volte il Presidente della Repubblica ha usato, nel discorso di insediamento, la parola dignità. Come dire che tra le principali necessità del nostro Paese c’è il rispetto per le persone. Se non si riconosce la dignità di ogni persona, finiamo per rassegnarci ad accettare la miseria e le disuguaglianze. Prendiamo per buone le spiegazioni “economiche” che abbandonano famiglie, anziani, bambini a se stessi”.
Infatti, nei suoi anni torinesi, Nosiglia non ha mai dato copertura alle giustificazioni economiche, né si è mai lasciato sedurre dal labirinto di speciose teorie finanziarie, né si è arreso all’idea che un suo simile e intere famiglie potessero precipitare nel baratro della disperazione per poi smarrire la dignità, appunto. Un faro di riferimento per quanti contrastano le ingiustizie e le diseguaglianze. Sempre in prima fila ai cancelli delle fabbriche in crisi con una parola che non è stata soltanto di conforto, ma di speranza per chi vede dissolversi presente e futuro.
La ex Embraco, la multinazionale di Riva di Chieri che chiude dall’oggi al domani, è il simbolo del suo spirito combattivo, l’esegesi della sua missione per il diritto al lavoro. Straordinaria parabola per un prete vissuto dal 1971 sempre nell’orbita del potere vaticano, nominato vent’anni dopo vescovo ausiliare di Roma da Giovanni Paolo II e dallo stesso inviato a Vicenza il giorno successivo al suo 59° compleanno per assolvere al magistero di 78º vescovo della diocesi veneta, con il titolo ad personam di arcivescovo.
Torino ha cambiato Nosiglia e Nosiglia ha cambiato Torino. Lo ha fatto modificando l’angolo di osservazione di una città trascinata per una serie di circostanze e vicende storiche a nutrirsi dell’intellighenzia del ricordo: intellighenzia ideologica, politica, sindacale, sociale che ha (avuto) la sua centralità nella grande fabbrica e nel benessere da essa (pur tra contraddizioni e sfruttamento) generato. Nosiglia si è mosso in un apparente silenzio intellettuale, che ha finito per autorizzare allo scetticismo coloro – e chi scrive è tra quelli cresciuto con la preghiera domenicale rivolta “al nostro vescovo Michele” (Pellegrino), il prete di “Camminare insieme”, che ha ascoltato le raffinate riflessioni dell’arcivescovo Ballestrero e apprezzato il linguaggio fine e meditato dell’arcivescovo Saldarini – che avrebbero voluto, uno spirito autenticamente intellettuale. Che, in ultima analisi, significa “politico”. L’alta politica di cui ci si sente orfani, che a lungo andare per una sorta di generale pessimismo, porta l’individuo a diventare presbite, a non riconoscere le cose vicine.
Al contrario, nel suo sofferto quotidiano, monsignor Nosiglia ha dimostrato con le opere, con le iniziative, con le sue prese di posizione pubbliche sostenute da rara determinazione, di non aver mai rinunciato alla dimensione intellettuale, e dunque politica. E se non tutti l’hanno riconosciuta, è perché ha avuto il coraggio di capovolgerla, di andare anche controcorrente. Dal vertice ha riportata quella dimensione alla base, alle parrocchie, alle comunità cristiane, a quanti si spendono davvero per gli altri. In una fase lacerante per il credente, con una Chiesa squassata da scandali di diverso tipo e natura, ha ricostruito a Torino, in particolare nelle periferie, filo dopo filo, la trama spirituale del significato evangelico. Ultimo esempio, l’affollato incontro delle parrocchie di due settimane fa alla Chiesa di Nostra Signora della Salute con il sindaco Stefano Lo Russo (in Lo Russo e i cattolici, cronaca di un incontro: https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/02/model_-ruggiero.pdf. Davanti al primo cittadino di Torino, non c’era il singolo a parlare, ma una folla “intellettuale” e viva che ha saputo argomentare, dialogare, proporre. Il lascito migliore nel passaggio del testimone a don Roberto Repole, di cui la città sarà sempre grata a monsignor Cesare Nosiglia.
Riportiamo stralci del discorso di commiato di Monsignor Nosiglia
Non a caso, la parola dignità echeggia vigorosa, sottolineata con passione evangelica, nel messaggio che lo stesso Nosiglia invia al presidente Mattarella, nel giorno della sua rielezione al Colle. Ha scritto: “Per 18 volte il Presidente della Repubblica ha usato, nel discorso di insediamento, la parola dignità. Come dire che tra le principali necessità del nostro Paese c’è il rispetto per le persone. Se non si riconosce la dignità di ogni persona, finiamo per rassegnarci ad accettare la miseria e le disuguaglianze. Prendiamo per buone le spiegazioni “economiche” che abbandonano famiglie, anziani, bambini a se stessi”.
Infatti, nei suoi anni torinesi, Nosiglia non ha mai dato copertura alle giustificazioni economiche, né si è mai lasciato sedurre dal labirinto di speciose teorie finanziarie, né si è arreso all’idea che un suo simile e intere famiglie potessero precipitare nel baratro della disperazione per poi smarrire la dignità, appunto. Un faro di riferimento per quanti contrastano le ingiustizie e le diseguaglianze. Sempre in prima fila ai cancelli delle fabbriche in crisi con una parola che non è stata soltanto di conforto, ma di speranza per chi vede dissolversi presente e futuro.
La ex Embraco, la multinazionale di Riva di Chieri che chiude dall’oggi al domani, è il simbolo del suo spirito combattivo, l’esegesi della sua missione per il diritto al lavoro. Straordinaria parabola per un prete vissuto dal 1971 sempre nell’orbita del potere vaticano, nominato vent’anni dopo vescovo ausiliare di Roma da Giovanni Paolo II e dallo stesso inviato a Vicenza il giorno successivo al suo 59° compleanno per assolvere al magistero di 78º vescovo della diocesi veneta, con il titolo ad personam di arcivescovo.
Torino ha cambiato Nosiglia e Nosiglia ha cambiato Torino. Lo ha fatto modificando l’angolo di osservazione di una città trascinata per una serie di circostanze e vicende storiche a nutrirsi dell’intellighenzia del ricordo: intellighenzia ideologica, politica, sindacale, sociale che ha (avuto) la sua centralità nella grande fabbrica e nel benessere da essa (pur tra contraddizioni e sfruttamento) generato. Nosiglia si è mosso in un apparente silenzio intellettuale, che ha finito per autorizzare allo scetticismo coloro – e chi scrive è tra quelli cresciuto con la preghiera domenicale rivolta “al nostro vescovo Michele” (Pellegrino), il prete di “Camminare insieme”, che ha ascoltato le raffinate riflessioni dell’arcivescovo Ballestrero e apprezzato il linguaggio fine e meditato dell’arcivescovo Saldarini – che avrebbero voluto, uno spirito autenticamente intellettuale. Che, in ultima analisi, significa “politico”. L’alta politica di cui ci si sente orfani, che a lungo andare per una sorta di generale pessimismo, porta l’individuo a diventare presbite, a non riconoscere le cose vicine.
Al contrario, nel suo sofferto quotidiano, monsignor Nosiglia ha dimostrato con le opere, con le iniziative, con le sue prese di posizione pubbliche sostenute da rara determinazione, di non aver mai rinunciato alla dimensione intellettuale, e dunque politica. E se non tutti l’hanno riconosciuta, è perché ha avuto il coraggio di capovolgerla, di andare anche controcorrente. Dal vertice ha riportata quella dimensione alla base, alle parrocchie, alle comunità cristiane, a quanti si spendono davvero per gli altri. In una fase lacerante per il credente, con una Chiesa squassata da scandali di diverso tipo e natura, ha ricostruito a Torino, in particolare nelle periferie, filo dopo filo, la trama spirituale del significato evangelico. Ultimo esempio, l’affollato incontro delle parrocchie di due settimane fa alla Chiesa di Nostra Signora della Salute con il sindaco Stefano Lo Russo (in Lo Russo e i cattolici, cronaca di un incontro: https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/02/model_-ruggiero.pdf. Davanti al primo cittadino di Torino, non c’era il singolo a parlare, ma una folla “intellettuale” e viva che ha saputo argomentare, dialogare, proporre. Il lascito migliore nel passaggio del testimone a don Roberto Repole, di cui la città sarà sempre grata a monsignor Cesare Nosiglia.
Riportiamo stralci del discorso di commiato di Monsignor Nosiglia
Cari amici, sono lieto di comunicarvi che il Santo Padre ha nominato Arcivescovo metropolita di Torino e Vescovo di Susa il canonico don Roberto Repole, docente e direttore della Sezione torinese della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale.
[…] Sono lieto di questa nomina anche perché viviamo un periodo delicato e importante che riguarda non solo la diocesi di Torino e Susa ma l’intera Chiesa, e quella italiana in particolare. Mi riferisco all’avvio del Sinodo che caratterizzerà questi prossimi anni ed è iniziato ufficialmente nelle nostre diocesi il 17 ottobre scorso con le solenni celebrazioni nel santuario della Consolata di Torino e nel santuario della Madonna del Rocciamelone a Susa.
Da parte mia assicuro a don Roberto la mia piena disponibilità a sostenerne il ministero senza alcuna interferenza. Io resterò a Torino in una realtà ecclesiale collegata alla parrocchia Madonna Addolorata al Pilonetto. Anche qui il parroco avrà la mia piena collaborazione se lo vorrà e come lo vorrà. Ho sempre desiderato infatti di poter servire una comunità parrocchiale. Poi, come ogni altro Vescovo emerito presente a Torino e a Susa sarò disponibile per celebrazioni di Cresime o di feste patronali o altro che i singoli parroci vorranno e chiederanno. Desidero anche assicurare i lavoratori della ex Embraco e i poveri (in particolare senza dimora, immigrati o rom) che continuerò a seguire le loro vicende con la massima cura.[…]
Si ringrazia il Settimanale diocesano “La Voce e il Tempo” per la concessione della foto
Posted on: 2022/02/20, by : admin
[…] Sono lieto di questa nomina anche perché viviamo un periodo delicato e importante che riguarda non solo la diocesi di Torino e Susa ma l’intera Chiesa, e quella italiana in particolare. Mi riferisco all’avvio del Sinodo che caratterizzerà questi prossimi anni ed è iniziato ufficialmente nelle nostre diocesi il 17 ottobre scorso con le solenni celebrazioni nel santuario della Consolata di Torino e nel santuario della Madonna del Rocciamelone a Susa.
Da parte mia assicuro a don Roberto la mia piena disponibilità a sostenerne il ministero senza alcuna interferenza. Io resterò a Torino in una realtà ecclesiale collegata alla parrocchia Madonna Addolorata al Pilonetto. Anche qui il parroco avrà la mia piena collaborazione se lo vorrà e come lo vorrà. Ho sempre desiderato infatti di poter servire una comunità parrocchiale. Poi, come ogni altro Vescovo emerito presente a Torino e a Susa sarò disponibile per celebrazioni di Cresime o di feste patronali o altro che i singoli parroci vorranno e chiederanno. Desidero anche assicurare i lavoratori della ex Embraco e i poveri (in particolare senza dimora, immigrati o rom) che continuerò a seguire le loro vicende con la massima cura.[…]
Si ringrazia il Settimanale diocesano “La Voce e il Tempo” per la concessione della foto
Posted on: 2022/02/20, by : admin